La dieta si fa contenendo le quantità non la qualità

3 dicembre 2011

Pulizia, Sfilettatura e Spellatura del Pesce

La prima operazione la si deve fare dal pescivendolo, acquistando il pesce fresco. Come? Se è possibile il pesce dovete toccarlo, per questo amiamo i mercatini, di solito qui sono meno schifiltosi e ti permettono di mettere le mani. Primo esame a vista: lucentezza generale del pesce, che però è facile camuffare con vari prodotti anche chimici, brillantezza e non infossamento dell'occhio sono i primi indicatori. Secondo esame al tocco: con il dito premete sul corpo del pesce, deve risultare elastico, sparendo immediatamente l'incavo, annusando il dito deve sentirsi un odore piacevole di mare e non di ammoniaca, uno dei prodotti usati per ingannare. Terzo esame al tocco: il pesce se preso per la testa deve mantenersi ben teso ed aprendo le branchie, queste devono essere di un bel rosso sanguigno e vivido, segno che il sangue contenuto è ancora ricco di ossigeno, le branchie sono i polmoni dei pesci, annusandole devono odorare piacevolmente.
Per queste foto abbiamo utilizzato un tonnetto che viene chiamato Alletterato perché sul mantello ha delle macchie che sembrano delle scritte. Per forma, dimensione e consistenza ci è sembrato il più idoneo, ha solo un difetto, quello di essere molto ricco di sangue per cui qualche foto risulterà un po' cruenta, vi assicuro che ne abbiamo dovute eliminare di molto peggio, che avrebbero veramente potuto dare fastidio ma così è, "se si va al mulino ci si infarina" dice un vecchio detto, gli animali se tagliati emettono sangue.

 l'operazione inizia con lo sventramento, l'apertura cioè della pancia, per questa operazione si deve usare un coltello appuntito e piuttosto tagliente. Si procede infilando il coltello nell'evidente orifizio anale e procedendo al taglio fino alla testa.
infilando la mano in questa apertura, non temendo di sporcarsi, si estraggono le interiora, che faranno poca resistenza, restando attaccate nella parte alta da cui andranno tagliate.
Occorre a questo punto lavare profondamente sotto acqua corrente, asportando i residui ed un velo nero, che generalmente tappezza la parete intestinale. Se è un pesce, che, come questo, non va utilizzata la testa, abbiamo finito, se invece è un pesce di cui si utilizza la testa, vanno asportate le branchie, basterà agganciarle con un dito, tirare e lavare per bene. Tra le interiora in alcuni pesci, come la Rana Pescatrice e il Merluzzo, si usa distinguere il fegato che bel lavato, asportandone la cistifellea, la sacca della amara bile, è ottimo da mangiare fritto a parte o aggiungendolo all'eventuale intingolo del pesce. Sempre tra le interiora, specialmente alla fine dell'inverno, è facile trovare le grosse ovaie, anche queste sono eccellenti, se ne potrebbero preparare addirittura delle bottarghe. 
In pesce è ora bello pulito e lavato, possiamo passare alla sfilettatura. Per questa operazione serve un amplio tagliere ed un coltello a lama d'acciaio, lunga, sottile, flessibile e molto tagliente. Non abbiatene paura, ci si taglia molto più probabilmente con coltelli che non tagliano, con questi ci si deve sforzare, spingere e fare cose anomale che ci portano a fare gesti che portano al taglio. Il problema è che con i coltelli taglienti ci si taglia molto meno ma quando accade ci si fa veramente male. In effetti io mi trovo benissimo con un coltello affilatissimo da prosciutto, non è l'ortodosso ma per me è il migliore.
Si pratica innanzitutto un taglio verticale ed obliquo, come si vede nella foto, fino ad arrivare alla spina centrale, partendo molto vicini alla testa.
Poi si piega la lama proseguendo il taglio in orizzontale, sentendo la spina centrale sotto la lama e cercando di interessare con il taglio la parte dorsale del pesce, è la più pregiata, trascurando la parte ventrale, meno pregiata, che o si scarta o si utilizza per fumetti o brodi.
ATTENZIONE non mettete mai le mani avanti al coltello nel senso in cui state tagliando.


Arrivati alla coda si da un taglio ed il filetto è pronto.

Si rigira il pesce, si procede alla stessa maniere ed otteniamo i due filetti.
In qualche pesce con lisca centrale meno lineare di questa, può essere necessario praticare un taglio dorsale come quello che abbiamo praticato al ventre, arrivando alla spina centrale. Per questo può essere preferibile un coltello corto ed a punta, sempre tagliente però.
I filetti vanno ora tolettati, togliendo le spine presenti, aiutandosi con delle pinzetta, esistono quelle apposite, noi ci troviamo benissimo con quelle comuni, presenti in tutte le case per sopracciglia o operazioni simili.
Passiamo ora alla spellatura non necessaria a tutti i pesci, con la punta di un coltello sempre molto tagliente si comincia a staccare la pelle dalla polpa fino ad ottenere un lembo che possa essere saldamente afferrato tra le dita, a questo punto tirare ed aiutandosi sempre con il coltello vedrete che l'operazione risulterà piuttosto semplice.


Si procede ora al recupero di tante parti di polpa che sarà rimasta attaccata alla spina, alla base della testa, alla pelle, ecc... Sicuramente nessun pescivendolo si prende questi fastidi, vi posso assicurare che il mucchietto che si vede dalla foto è stata ottenuta in questo modo e ci è stata molto utile ad ottenere una ricetta di pasta con dadolata di tonno.

Filetti di Tonnetti e Alletterati 
Filetti di Scorfani
Filetti di Triglie
Rana Pescatrice a sx Filetti detti Coda di Rospo

2 dicembre 2011

Vermicelli con le Cicale - Pasta con le Canocchie

Mesi ideali per questo piatto: Novembre, Gennaio, Febbraio, Marzo

Le Cicale, per noi meridionali, in particolare i pugliesi, sono quei crostacei che in italiano si chiamano Canocchie. Termine dialettale l'uno come l'altro, solo che quello settentrionale sembra il vincente, ha preso, come troppo spesso accade, il sopravvento. Perché?
Tanti sostengono, a torto, che le Cicale siano altre, indicando con questo nome le molto più rare Magnose, che addirittura, dimentichi o ignorandone la presenza anche da noi, chiamano anche Cicale Greche.
Stranamente in dialetto tarantino i pugni dati con la nocca del dito medio si chiamano Canocchie, terribili se data "a spruscio", cioè sfiorando, solitamente si danno, meglio si davano, in testa, prendendo anche il nome di Ficozza, forse è una questione di stagione, le prime sono invernali e le seconde estive, al tempo dei fichi, entrambe fanno venire le Panocchie, l'ematoma rigonfio ed evidente, il bernoccolo.
Che ci sia una attinenza con le varie denominazione di questo straordinario dono della natura? Infatti le Cicale non hanno chele, catturano le prede sferrando dei poderosi cazzotti alle malcapitate prede con l'estremità delle grosse, muscolose ed evidenti zampe. Si comportano in effetti come le mantidi religiose, a cui, grossolanamente somigliano.
Il periodo migliore è l'autunno inoltrato e l'inverno, cominciano ad essere buone con il freddo. Al mercato sceglietele vive, prendendole in mano, occhio che il loro pizzico è doloroso, dovrete sentirle pesanti, segno che sono piene. Rigirandole dovranno presentare tre righe bianche all'inizio del corpo, il collo, diciamo, le chiamano "collane", le avrebbero solo le migliori, che dovrebbero essere le femmine. Se non dovessero essere vive, badate bene che non abbiano la testa annerita, come per i gamberi questo sarebbe il segno che sono morte da tempo ed è iniziata la decomposizione degli organi interni.
Se avrete scelto bene avete tra le mani uno dei migliori crostacei che il mare ci possa donare, il suo prezzo è piuttosto contenuto, forse è il più economico dei crostacei, qualche anno fa i pescivendoli di questi tempi usavano regalarne una generosa mangiata a chi aveva fatto una buona spesa. Si possono preparare in vari modi ma la "morte loro" è con gli spaghetti o i vermicelli o le linguine in un sughetto veloce, veloce.

Ingredienti per 4 commensali
un chilogrammo circa di Cicale - otto o dieci cucchiai di Olio Extra Vergine di Oliva 
mezzo bicchiere di vino bianco secco - un mazzetto di Prezzemolo - due spicchi di Aglio 
otto pomodorini Regina conservati appesi - un pizzico di Polvere di Peperoncino Garofalo
tre etti e mezzo di Vermicelli di ottima qualità - quanto basta di Sale grosso e fino


Dare una vigorosa lavata alle Cicale sotto l'acqua corrente e metterle da parte a sgocciolare. Porre a bollire l'acqua della pasta. Tagliare l'aglio a fettine e metterlo a riscaldarsi con l'Olio e la Polvere di Peperoncino in una padella molto capiente, dovremo cuocervi comodamente sia le canocchie che la pasta. Quando l'aglio comincerà a soffriggere aggiungere due o tre rametti sani di prezzemolo, più steli che foglie, e le cicale, alzando la fiamma per una rapida soffrittura, tornate a condimento si sfumano con il vino bianco, evaporato questo saranno cotte quasi del tutto, le solleviamo e nell'intingolo aggiungiamo i pomodorini sani ed un mestolo di acqua calda della pasta, quando i pomodori appassiscono, se ne favorisce la rottura con un cucchiaio di legno. Nel frattempo l'acqua della pasta sarà giunta ad ebollizione, si butta la pasta rimestandola ed attendendo che torni l'ebollizione per aggiungere la giusta quantità di sale, mettiamone anche nel sughetto. 
In questo caso abbiamo utilizzato i Vermicelli " 'E FASULE" n° 10 della Garofalo, che richiedono 14 minuti di cottura, essendo di vera semola di grano duro; dopo una decina di minuti, versiamo la pasta nell'intingolo, spolveriamo ancora con un pochino di Polvere di Peperoncino, togliamo l'antiestetico prezzemolo stracotto, ha ormai dato quel che doveva, e con l'aggiunta di qualche cucchiaio d'acqua facciamo terminare la cottura, rimestando e facendo fare qualche saltino per rivoltarli. Negli ultimi momenti aggiungiamo le Cicale perché si riscaldino.
Alla fine impiattiamo cospargendo una manciata di prezzemolo grossolanamente tritata.
Nel piatto mettiamo anche qualche Cicala.
Sane così non sono facili da mangiare se non si è pratici, il carapace è fornito di aculei che pungono se affrontati nel senso sbagliato. Bisogna spezzarle all'altezza della coda e succhiarle con cautela, ripeto non è facile se non si è pratici. Se si vogliono agevolare i commensali vanno tagliate lungo i bordi ma solo al momento di metterle a scaldare, questo facilita l'apertura del carapace e l'accesso alla gustosissima polpa in essi contenute; gustosa è anche la polpa contenuta nelle due grosse zampe anteriori. Tagliandole prima della cottura si corre il rischio che si aprano e se ne disperda la polpa, che subirà così una cottura eccessiva.


Mi sovviene che quel tipo di pugno che chiamiamo Canocchia (veramente mi hanno corretto, la memoria fa brutti scherzi, è Carocchia ma il raggionamento regge lo stesso, volendo) si chiama anche Perchia, un'altro pesce e, come se non bastasse, anche Caravidd, mi aggiungono dei meno smemorati conterranei.
Come gli eschimesi hanno centinaia di termini per definire il bianco della neve e del ghiaccio, noi abbiamo tantissimi termini per chiamare i pugni! Qualcosa vorrà dire, vi pare?

Giornalmente pubblichiamo ricette ed altro, che deriva da questo blog nella nostra pagina Facebook omonima, dateci il vostro "Mi Piace" e seguiteci cliccando qui

28 novembre 2011

Cazon cu l Rap - Calzone con le Cime di Rapa stufate



Preparata la pasta alla maniera del Calzone con la Cipolla (cliccare per ottenerla), usando lo stesso metodo, si fa quest'altro calzone. Il ripieno sarà di Cime di Rapa stufate , la cui ricetta otterrete cliccando e scegliendo la maniera che preferite, qui noi abbiamo adottato quella più seria ed impegnativa, non facendoci mancare nulla.

25 novembre 2011

Insalata di Lampascioni

In Insalata e Stufati (per ricetta qui)

Scegliere al mercato Lampascioni piuttosto piccoli, senza germoglio ed asciutti; pulirli, togliendo le radici e il primo strato. Lasciarli integri, non siamo daccordo con chi pratica tagli a croce sul fondo o li taglia del tutto da crudi, questo farebbe penetrare acqua di lavaggio, di spurgo o di cottura, cuocendo eccessivamente l'interno, più tenero. 
Metterli a bagno in acqua abbondante, sciacquandoli ben, bene ai primi cambi per togliere eventuale sporco residuo di terra, proseguire con cambi soventi per tre o quattro giorni. Questo trattamento li renderà meno amari pertanto i giorni ed i cambi d'acqua potranno essere modulati a seconda del personale gradimento dell'amaro.
Metterli a bollire in acqua fredda e salata, appena son cotti, devono essere masticabili ma restare croccanti, versarli in acqua fredda, lasciandoveli per una decina di minuti per fermare la cottura sicuramente anche all'interno, scolarli, tagliarli a metà o in quattro e condirli con Aceto di Vino Rosso (può andar bene anche quello balsamico e, se volete mantenere il colore, va bene anche il bianco), Aglio a fettine, per scansarlo chi vuole, Olio EVO e, se gradito, qualche pezzo di peperoncino e qualche fogliolina di menta ed ancora una aggiustatina di sale.

Lampascioni Stufati

Lampascioni Stufati a contorno di Polpette di Carne Fritte da condire in Salda di Pomodoro con Carne tritata (per ricette cliccare sui nomi)


Scegliere al mercato Lampascioni piuttosto piccoli, senza germoglio ed asciutti; pulirli, togliendo le radici e il primo strato. Lasciarli integri, non siamo daccordo con chi pratica tagli a croce sul fondo o li taglia del tutto da crudi, questo farebbe penetrare acqua di lavaggio, di spurgo o di cottura, cuocendo eccessivamente l'interno, più tenero. 
Metterli a bagno in acqua abbondante, sciacquandoli ben, bene ai primi cambi per togliere eventuale sporco residuo di terra, proseguire con cambi soventi per tre o quattro giorni. Questo trattamento li renderà meno amari pertanto i giorni ed i cambi d'acqua potranno essere modulati a seconda del personale gradimento dell'amaro.

Fare un profondo taglio a croce sul fondo dei Lampascioni e porli in un tegame con coperchio dove si sarà scaldato un fondo di Olio EVO, uno o due Spicchi di Aglio a fettine (intero e più abbondante se intendete toglierlo a cottura ultimata), un Peperoncino piccate, salarli ed irrorarli di un bel bicchiere di Vino Rosso, ideale sarebbe del Primitivo o del Negramaro. Coprire e far cuocere a fuoco bassissimo; quando il vino si sarà riassorbito, rigirarli spesso, favorendone lo sfaldamento. A cottura ultimata dovranno essere sfaldati, ancora croccanti e tornati completamente al solo olio. 

13 novembre 2011

Vellutata di Cardoncelli

Mesi ideali per questo piatto: Settembre, Ottobre, Novembre, Dicembre, Febbraio,

Vellutata di Cardoncelli e Pollo alla Cacciatora (clicca per ricetta)
Questo è un piatto che solitamente facciamo avendo fatto anche il Risotto con i Cardoncelli (clicca per ricetta); nel brodo vegetale, che per esso prepariamo, mettiamo, oltre a Cipolla e Sedano anche delle Patate e Gambi di Funghi, pertanto le patate avranno assorbito il sapore dei funghi, così, ovviamente, sarà anche per il brodo stesso. Solitamente quando si fanno i risotti si fa brodo in abbondanza ed alla fine ne avanza, che si fa si butta? In cucina, dicono sempre i grandi chefs "non si butta mai niente". Consideriamo questo brodo anche una preparazione di recupero degli scarti dei funghi,  con questo piatto recuperiamo le patate e l'energia utilizzata per la cottura del brodo stesso. 
Sempre facendo il risotto, il primo passo è: preparare dei funghi trifolati. Ne facciamo un pochino di più e li mettiamo da parte.
A questo punto abbiamo tutto ciò che occorre per questo fantastico e delicatissimo contorno: Patate Lesse, Funghi Trifolati e del Brodo Vegetale al gusto di fungo, il tutto proveniente da una contemporanea preparazione di risotto, quindi Avanzi.
In un tegame sminuzziamo le patate, le schiacciamo con una forchetta ed aggiungiamo in parte il brodo avanzato senza esagerare, ce ne occorre quello sufficiente a rendere fluido il composto, mettiamo sul fuoco, quando comincia a sobollire, aggiungiamo i funghi trifolati. Lasciamo cuocere il necessario per ottenere l'amalgama dei sapori e la consistenza desiderata, dosando brodo e evaporazione.
Il piatto è pronto bisogna solo correggere di sale e di piccante con l'aggiunta o di Olio Santo o Pepe Nero appena macinato. Ci sta bene anche una bella spolverata di Prezzemolo fresco appena tritato. Inutile dire che chi volesse la consistenza di una crema non deve far altro che passare il tutto insieme, anche i funghi, noi la preferiamo con funghi da masticare e patate da sorbire. Mi raccomando "Passare" non frullare, come ormai si fa tutto e nemmeno lavorare al mixer, le patate assumerebbero una sgradevole consistenza collosa.
La ricetta resta valida per qualsiasi fungo.
Funghi Cardoncelli cresciuti in casa

Cappellacci alla Confettura di Cotogne

Mesi ideali per questo piatto: Settembre, Ottobre, Novembre, Dicembre, Febbraio


In questi giorni di inizio autunno abbiamo fatto la Confettura di Cotogne e la Cotognata, la cui ricetta è qui.  Mi sono domandato se questo prodotto, indubbiamente dolce ma di un dolce particolare, potesse essere un ingrediente per piatti salati. Ho pensato che abbinato a Noci, un altro componente dolce del tutto particolarmente, e un formaggio dal sapore molto deciso potesse dar vita ad un interessante ripieno per paste. Siamo stati in dubbio se farcire il solito raviolo o cercare un formato diverso, abbiamo deciso per i Cappellacci, che grosso modo sono dei tortellini più grandi ed abbiamo deciso di esagerare in dimensione, facendo dei cappellacci, partendo da quadrati di pasta all'uovo di dieci centimetri di lato per poter lasciare molta pasta rispetto alla parte ripiena. Per questo piatto abbiamo utilizzato la Confettura di Cotogne, che altro non è che la Cotognata prima che arrivi a solidificare, con una cottura estrema ma sarebbe andata benissimo anche quest'ultima, opportunamente sminuzzata.
I cappellacci saranno troppo grandi per un boccone occorrerà tagliarli, ne basteranno quattro o cinque per commensale.

Ingredienti per 4 persone:
tre etti di Farina 0 - tre uova intere - un pizzico di sale
venti noci - quattro cucchiaini da the di Confettura di Cotogne - 
un cucchiaio di Caciocavallo Podolico di oltre due anni - due patate lesse - 
quanto basta di Sale grosso e di Pepe Nero
sei etti di Cardoncelli scuri della Murgia - una dozzina di cucchiai di Olio Extra Vergine di Oliva - due spicchi d'Aglio - un cucchiaino da caffè di Peperoncino Garofalo - 
un bicchiere di Vino Bianco Martina - otto Pomodori Regina appesi - quanto basta di Sale Grosso - un mazzetto di Prezzemolo - quattro cucchiai di Canestrato Pecorino Pugliese grattugiato


 Innanzitutto si son messe a bollire in acqua salata le patate, saranno pronte quando i rebbi di una forchetta le attraverseranno. Si è impastata la farina con le uova e si è messa a riposare. Nel frattempo si è preparato il ripieno, sbucciando le Noci e frantumandone grossolanamente i frutti, che sono stati impastati con la Patata lessa schiacciata con la forchetta, il Caciocavallo Podolico sminuzzato con una grattugia grossa, la Confettura di Cotogne e la quantità occorrente di Sale e Pepe Nero frantumati in un mortaio in pietra. L'impasto si lascia a riposo per far amalgamare i sapori e i profumi.
Passiamo ora alla pulizia dei funghi che non andrebbero mai lavati ma solo spazzolati e strofinati con un panno umido, non sempre questo è possibile specialmente con funghi che hanno le lamelle in cui si infila facilmente la terra, se li si doveste lavare, che sia una operazione rapidissima, sotto il getto d'acqua, altrimenti i funghi ne assorbirebbero molta, già ne contengono tanta, questo allungherebbe molto la loro cottura, rovinandoli.
Si preparano i Cappellacci alla stessa maniera dei tortellini, partendo, come detto da quadrati di pasta molto sottile, come occorre fare con le paste ripiene, dove lo spessore viene raddoppiato nelle chiusure.
Passiamo alla preparazione della salsa mettendo a soffriggere dolcemente l'Aglio tagliato a fettine in otto cucchiai d'Olio EVO, seguito da due o tre rami di Prezzemolo e dalla grossolana polvere di Peperoncino Garofalo. Quando l'aglio imbiondisce, alziamo la fiamma e quando l'olio è parecchio caldo versiamo i Funghi affettati, facendoli sfrigolare violentemente, favorendone il rapido prosciugamento mantenendo la fiamma alta. Quando i funghi tornano a condimento si sfumano con il vino, ancora una volta la fiamma alta lo farà prosciugare in breve ed aggiungeremo i Pomodori Regina appesi, tagliati a metà e messi in padella dalla parte del taglio per favorirne la rapida cottura.
Nel frattempo i cappellacci sono stati buttati in acqua bollente e salata, appena salgono a galla si passano nell'intingolo dove si rimesteranno dolcemente con l'aggiunta di qualche cucchiaio d'acqua di cottura. A fiamma spenta una bella spolverata di prezzemolo tritato, un giro d'Olio crudo, eventualmente qualche goccia di Santo per correggere un non sufficiente piccante, chiuderà la preparazione una generosa spolverata di Canestrato Pecorino Pugliese.


Volete provarci con altri funghi, anche perché questi al di fuori del Sud Italia, non è facile trovarli.
A proposito, questo fungo, Pleurotus Eryngii, oggi molto coltivato sulla Murgia, in Calabria lo chiamano Feddruritu, in Sicilia Fungiu di Ferla o di Panicaut, in Sardegna Cardolinu 'e Petza o Gardula, in Puglia Carduncidde, Carduncieddi, Carduncieddu.

12 novembre 2011

Souté di Vongole

Mesi ideali per questo piatto: Ottobre - Novembre - Dicembre - Gennaio - Febbraio

In effetti è un Souté di Volgole Veraci Mediterranee con Pane di Grano Duro di Laterza cotto in forno a legna di sarmenti di vite, raffermo e fritto in Olio EVO. Una ricetta semplicissima dove contano gli ingredienti, alcuni, ormai, di difficilissima reperibilità.

Ingredienti come antipasto per 4 persone:
un chilogrammo di Vongole Veraci
dieci/dodici cucchiai di Olio Extra Vergine di Oliva
quattro spicchi di Aglio
due cucchiai di Pomodori a Pezzetti
un Peperoncino
un bicchiere di Vino Bianco Secco
un mazzetto di Prezzemolo
otto fette di Pane Casereccio

Per quanto riguarda la scelta, la pulizia e la preparazione alla cottura delle Vongole guardate ciò che abbiamo già scritto nella ricetta Linguine con le Vongole.

Far riscaldare molto dolcemente due degli spicchi d'Aglio affettati, il Peperoncino spezzato e due rami sani di Prezzemolo con l'Olio EVO, ponendoli in un tegame, provvisto di coperchio e molto capiente, tenendo presente che dovrà contenere le Vongole aperte. Dopo un buon quarto d'ora che dovrebbe essere sufficiente a far iniziare un certo imbiondimento dell'Aglio, alzare la fiamma, facendo arrivare l'olio al limite del fumo e versarvi velocemente le Vongole sgocciolate, stando pronti a porre il coperchio per parare l'indispensabile forte sfrigolamento. Dare qualche vigorosa scossa al tegame per favorire il rimescolamento, aggiungere il vino e il pomodoro (per la ricetta vedi qui). Ogni tanto dare una scossa al tegame, in questa maniera le vongole ancora chiuse, contenenti la loro acqua e pertanto pesanti, andranno verso il fondo del tegame e quelle già aperte, leggere avendo perso l'acqua, verranno alla superficie. Quando ci sembrerà che tutte le vongole si sono aperte, alzare al massimo la fiamma e rimestare vigorosamente favorendo sia la penetrazione dell'intingolo nelle vongole sia l'evaporazione dello stesso. Quest'ultima fase durerà non più di due o tre minuti, spegnete, irrorate di prezzemolo tritato grossolanamente ed impiattate su fette di pane, che, secondo i vostri gusti, potranno essere abbrustoliti o fritti in olio evo e strofinati da entrambi i lati con l'aglio.

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3 novembre 2011

Faf Spzzutat' a' Santeramana - Fave Spuntate alla Santeramana


Questa ricetta l'ho appresa durante un ricovero in ospedale, neanche in queste occasioni si calma la mia voglia di conoscere, di ricercare. C'era nella mia stanza un giovanottino di ottantuno anni, un metro e quaranta di simpatia, furbizia, arguzia e curiosità, malgrado un intervento a torace aperto di una ventina di giorni prima. Ho subito cercato di guadagnarmi la sua fiducia, perché cominciasse a raccontarmi i suoi ricordi. Non è stato difficile, era una persona amante del racconto, che faceva con dovizia di particolari ed, intelligentemente, amava le interruzioni per gli approfondimenti. Mi ha raccontato tante cose, tante abitudini, tanti miei "perché" hanno trovato risposta. Non era un esperto di cucina, questo tradizionalmente è un campo prettamente femminile, oltre tutto, appartenendo alla aristocrazia degli agricoltori, il suo mestiere è, e ci tiene a specificarlo, u spruiulator, il potatore e l’innestatore, aveva sempre da fare e poco tempo da stare in casa, pertanto mi ha solo dato degli accenni e delle indicazioni su formaggi, avendolo fatto quando aveva un gregge di pecore e capre, ed altro, solo una vera e propria ricetta, unica ma anche molto preziosa in quanto molto tradizionale ed esclusiva nella sua semplicità. Si può considerare anche un piatto del recupero perché si può realizzare anche con le Fave cotte con la buccia avanzate ed il pane di qualche giorno.
Di Fave Spzzutat’ ne abbiamo già parlato qui, abbiamo anche spiegato come si spizzutano, in sostanza la loro cottura è una lunga e lenta bollitura. Gli ingredienti per questo piatto sono a testa:
due mestoli di Fave Spzzutat' già cotte – una mezza cipolla media preferibilmente rossa 
mezzo peperoncino – due cucchiai di Olio Extra Vergine di Oliva 
due fette di pane casereccio pugliese o lucano di almeno tre giorni



Affettare finemente la cipolla e metterla a soffriggere, molto dolcemente, con il peperoncino nell’olio. Quando la cipolla sarà ben appassita, aggiungere le fave, soffriggendo anche loro e prosciugandole ben bene, a questo punto versarvi qualche bicchiere d’acqua o brodo, se fosse disponibile, una quantità tale da bagnare abbastanza il pane, farla venire a bollire e versare il tutto sulle fette di pane sistemate sul fondo di una scodella. Un filo d’Olio EVO crudo, eventualmente opportunamente aromatizzato al rosmarino, all’aglio, al timo o altro, completerà egregiamente il piatto.

31 ottobre 2011

Faf Spzzutat' Bullut cu l'Areghn - Fave Spuntate Bollite all'Origano


Molti piatti con al centro le fave vengono preparati per il 2 novembre, il giorno dei morti. Questo modo di condirle l'ho trovato sia a Foggia che in Lucania, è molto semplice.
Ingredienti per 4 persone:
tre etti di Fave Secche con buccia - quanto basta d'Olio Extra Vergine di Oliva 
quanto basta di Sale Grosso e Fino - quanto basta di Origano in rametti 
secondo gusti uno spicchio di Aglio

Le Fave si possono lasciare con la buccia sana o si possono "spzzutà", togliere la punta, quella dove c'è il nasello. Come si fa l'abbiamo spiegato qui. Questo determinerà una più rapida cottura, o per meglio dire una meno lenta cottura, dipendente anche dalla volontà di mangiare o meno la buccia. 

Se le fave sono con buccia integra hanno bisogno di un ammollo di almeno una giornata, per le altre basterà una nottata. Al mattino si dà una rapida sciacquata e si mettono in cottura, possibilmente in coccio, coperte da due dita d'acqua. Ad inizio cottura si formerà un po' di schiumetta da asportare, appena inizierà l'ebollizione il fuoco verrà abbassato al massimo, l'importante è che ci sia un minimo accenno di ebollizione. Come generalmente consigliamo, sarà bene tenere un pentolino d'acqua come coperchio del coccio, il perché lo spieghiamo qui. Potranno occorrere più ore per la completa cottura. Quando ormai saranno cotte si effettuerà la salatura secondo i gusti ed un'altra decina di minuti sul fuoco farà ben distribuire il sale.
Quando finalmente saranno cotte si prelevano con una schiumarola le fave che si intende condire in questa maniera, solitamente sono più uno sfizio che un vero e proprio piatto, e le si condiscono con ancora un po' di sale, aglio a pezzettoni per profumare ed essere scartato con facilità, Olio EVO e dei rametti di origano, leggermente strofinati in mano perché cedano in parte semini e foglioline, una dolce rimestata farà il resto.
Solitamente queste fave si mangiano con le mani, schiacciandole e facendone scivolare in bocca il frutto, se non sono spzzutate bisogna dare un morsetto in punta per facilitare l'operazione. Volendo usare le mani qualcuno preferisce non aggiungere olio.
Quando cuciniamo le fave lesse ne facciamo una quantità abbondante per prepararle poi in vari modi, che prossimamente illustreremo. Le Fave, specialmente cotte con la buccia dovrebbero essere riscoperte per le diete moderne, il loro apporto di fibre e sali minerali è quanto mai prezioso.

30 ottobre 2011

Cicerchie a Zuppa

La Cicerchia è un antichissimo legume coltivato in tutto il bacino del Mediterraneo, leggermente tossico. Se ne produceva tantissima essendo forse il legume più facile da coltivare e pur non essendo molto stimato ne' per gusto ne' per qualità, anche in condizioni proibitive, malgrado siccità e/o altitudine, dava comunque buona resa; la larga disponibilità determinava un prezzo basso e quindi un larghissimo e continuo consumo da parte delle classi più povere, favorendo così l’accumulo eccessivo di una sostanza che dà disturbi nervosi, la latiriasi, con possibile immobilità degli arti inferiori, specialmente per le popolazioni che la consumavano anche macinata per farne polenta, focacce e pane da sola o miscelata ad altre farine di legumi e frumenti.
Forse la Cicerchia è stata per Basilicata e Campania quello che è stata la Fava per la Puglia e molta Sicilia, una fonte di carboidrati e proteine di ottima qualità a bassissimo costo. Era anche particolarmente in uso in tutto il Salento, la siccità di queste zone la rendeva preziosa, qui ha conservato nel dialetto l'altro nome greco, riferentesi più genericamente ai legumi rampicanti, Tolica.
Sarà stato il diffondersi della nozione dell’intossicazione o le migliorate condizioni economiche, fatto sta che se ne è abbandonato quasi del tutto il consumo relegandolo a mangime per colombi. Ora, che, ormai, anche l’allevamento dei colombi è finito, la Cicerchia era quasi sparita del tutto. La si è ora riscoperta in questa rivalutazione dei cibi antichi e certo un consumo episodico e in quantità moderne non presenta assolutamente nessun rischio per la salute, anzi resta un’ottima fonte di proteine vegetali, oltre al resto, poi è buona, ha un gusto di antico, dà proprio la sensazione di mangiare quelle cose buone di una volta.
La preparazione è molto semplice, è molto simile alla preparazione di altri legumi come ceci e fagioli. La si mette a bagno in acqua fredda almeno ventiquattro, anche quarantotto, ore prima, cambiando l'acqua due o tre volte, prima di metterla a cottura, si butta l’acqua dell’ammollo, si sciacqua ben bene, questi passaggi in acqua sono indispensabili per allontanare qualsiasi traccia di tossine. Era, probabilmente, il frequente uso di suoi sfarinati, quindi senza lungo ammollo, la principale causa di accumulo della tossina. Solitamente in questa fase si distaccano un po’ di gusci di pelle esterna, che vanno buttati via, quindi si pone a cottura in pentolino possibilmente di terracotta in acqua fredda con uno spicchio di aglio, una cipolla affettata e qualche pomodoro, all’inizio dell’ebollizione sarà bene effettuare una schiumatura ed una ulteriore asportazione di pellicine che si dovessero essere staccate, quindi si abbassa la fiamma in modo da lasciare a cuocere lungamente e dolcemente per almeno due o tre ore. A cottura ultimata si sarà formata una deliziosa cremina brodosa dalle cicerchie che avevano perso il guscio e si sono disfatte con immerse quelle ancora sane ma diventate morbide da essere gustate, qualche minuto prima dello spegnimento vanno salate. Intanto si prepara un intingolo con Olio EVO, Aglio tritato e Peperoncino, lo si fa soffriggere, vi si versano le cicerchie, le si fanno insaporire e poi si gustano con crostini di pane abbrustoliti o fritti con l’aggiunta di una generosa croce d’olio semplice o Olio Santo molto ammorbidito, diluendolo molto. Ottimo è anche l'abbinamento a verdure di stagione, precedentemente sbollentate, ottime, indicate e dal sovente uso sono anche le verdure selvatiche quali bietole, cicorielle, sivoni e zinconi, mischiate spesso tutte insieme.

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Per questo piatto l'intingolo è stato arricchito con cotiche di maiale, diminuendo l'uso dell'olio

27 ottobre 2011

Peperoni ripieni di Mozzarella di Bufala


Ingredienti per 4 commensali:
due etti di Treccia di Mozzarella di Bufala Campana - una cipolla bianca grande 
una dozzina di Peperoni piccoli ed a punta - passata di pomodori - un cucchiaio di burro 
due cucchiai di farina 0 - mezzo litro di latte intero - quanto basta di sale fino 
quanto basta di Pepe Nero macinato - quanto basta di Noce Moscata 
sei cucchiai di Olio Extra Vergine di Oliva 
Cospargere di Olio EVO una decina di Peperoni, puliti del picciolo e dei semi, scegliendo i più rossi o gialli, sicuramente i più maturi. Porli in forno al grill cuocendoli senza bruciarli. Appena possibile spellarli, lasciandoli sani.
Con due cucchiai di olio EVO soffriggere mezza cipolla ed uno o due dei peperoni, preferibilmente verdi, per creare un piacevole contrasto. Preparare una leggera Besciamella. Di seguito vi illustriamo la nostra ricetta.
Riscaldare il latte e separatamente in un tegame sciogliere il burro dolcemente e aggiungere la farina setacciata, girando con un cucchiaio di legno, amalgamandoli e arrivando al punto di doratura, questo composto prende il nome di Rhu, sarà utilissimo quando vorremo inspessire qualche salsa. Aggiungere lentamente il latte tiepido, un poco alla volta, aspettando per la nuova aggiunta che il precedente sia stato incorporato, questo eviterà che si formino i grumi. Far cuocere per un quarto d'ora sempre rimestando ed a fuoco dolce. Fermarsi alla consistenza voluta, tenendo conto che questa naturalmente aumenterà con il raffreddamento.
Con la Salsa di Pomodoro, l'altra metà di cipolla e due cucchiai di Olio EVO preparare un sughetto ben pepato.
Intanto il primo soffritto e la Besciamella si saranno raffreddati, amalgamarli insieme, aggiungendo la Mozzarella sfilacciata. La besciamella potrebbe non occorrere tutta, dipende dalla dimensione dei peperoni, che dovranno essere riempiti dall'impasto. Sistemarli in una pirofila in un unico strato, cospargerli della salsa di pomodoro ed infornare per cinque o sei minuti massimo al momento di servire.


Qui abbiamo guarnito con crostini di pane casereccio, ricoperti da un semplicissimo Paté di Olive dolci del tipo Nolche o Amele. Infornate dopo averle cosparse di sale, aglio tritato e peperoncino, sono state denocciolate prima di una grossolana tritatura con la mezzaluna.

24 ottobre 2011

Pani ca Meusa - Panino con la Milza alla Palermitana circa

Questa nostra, più per spiegare perché e come l'abbiamo fatto che per dirvi come si fa. Se vi interessa sapere come si fa rivolgetevi a siti più adeguati. Noi ne abbiamo fatto una nostra interpretazione con quello che ci trovavamo in casa e con quello che il nostro mercato ci ha messo a disposizione.
Ingredienti per 4 Panini:
tre etti di Farina 00 - un ottavo di tavoletta di lievito di Birra - mezz'etto di Sesamo - 
mezzo chilo di Milza e Polmone di Vitello - quanto basta di Strutto - 
un quarto di Ricotta di Pecora - un etto di Caciocavallo Podolico stagionato - un limone succoso - quanto basta di Sale Fino


Preparare i panini con il metodo del lievitino ed una lunga crescita, al momento di infornarli bagnarne la superficie e cospargerli con il sesamo, come avrete fatto con la superfice sulla quale li andrete ad adagiare in forno.
Intanto la Milza ed il Polmone, tenuti a bagno almeno tre ore, cambiandone l'acqua tiepida spesso, vengono bolliti in acqua aromatizzata e salata. Appena freddi vanno tagliati a fettine sottili e fritti in Strutto, questo secondo la ricetta classica, eventualmente si può optare per Olio EVO.
Con le frattaglie si imbottisce il panino, si sala, si schiaccia, lasciando ricadere lo strutto in eccesso nella padella e condendo opportunamente anche la seconda metà del panino, si spreme il limone ed u Pani ca Meusa Schietto è pronto. Schietto in palermitano significa Celibe e meglio nubile in quanto il riferimento è al femminile, infatti l'alternativa è u Pani ca Meusa Maritato, cioè ammantato del bianco della Ricotta e spruzzato con del saporoso e piccante Caciocavallo, che per l'originale è il Ragusano, per noi "purtroppo" si è trattato di un "vecchio" Caciocavallo Podolico di oltre due anni, che non permette una grattata a scaglie, come si otterrebbe con uno meno stagionato, l'estetica ne ha perso in autenticità ma c'ha guadagnato l'originalità e la personalizzazione in chiave pugliese del gusto.


PROBABILE STORIA DI QUESTO PIATTO
Gli ebrei, lavoratori del macello di Palermo, pagati con le sole frattaglie, tutte tranne il fegato, considerato degno di essere mangiato dai benestanti, diffusero e resero comune la vendita delle frattaglie per strada, usanza che fece presa sugli arabi. Gli ebrei non mangiano le frattaglie, la loro religione lo vieta, per gli arabi, abituati oltre tutto a mangiare con le mani, per cultura, era facile consumarne una volta lessate e tagliate a bocconi. Le frattaglie furono poi innestate nelle focacce, abitualmente e da tempo vendute per strada con ricotta, che viene ottenuta ricuocendo, appunto, il siero, scarto, anche questo, della lavorazione dei formaggi, con cui venivano pagati i lavoranti dei pastori, queste focacce erano insaporite prima in strutto che, friggendo in pentola colava dal lardo ed altri grassi di pessima qualità e quindi di scarto. U Pani ca' Meusa era fatto! Bastò aggiungere una grattatina di Caciocavallo Ragusano ed una strizzata di limone, che probabilmente preesistevano per insaporire l'uno la ricotta e l'altro le interiora, semplicemente bollite degli ebrei. Praticamente una storia da buttare per ottenere una leccornia eccelsa. 
Similmente in Puglia i garzoni dei fornai ricevevano come parte della paga la farina che veniva spazzolata dal pane cotto, con questo facevano il loro pane e le loro focacce, perché non pensare che questo accadesse anche in Sicilia? Pertanto anche le focacce o il pane che accompagnava questi antesignani dell'odierno Pani ca' Meusa avrebbe potuto essere prodotto allo stesso modo.

21 ottobre 2011

Cannolo alla Siciliana

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A "gentile" richiesta, non tutti capiranno il significato di queste virgolette, sarebbe troppo lungo spiegarlo, pertanto chi non lo capisce o lo capisce ma non le condivide, non le veda.
Da dove derivi la nostra ricetta non lo ricordiamo, è su uno dei tantissimi fogli, foglietti e fogliettini, scritti in oltre 40 anni di casuale raccolta dalle più disparate fonti, poi provate, collaudate, corrette, perfezionate. Vi racconteremo una delle ultime elaborazioni, che ci ha pienamente soddisfatti.
Ingredienti per ottenere circa dieci o dodici Cannoli, dose per quattro o cinque?

due etti di farina 00 - un cucchiaio raso di strutto o uno e mezzo di burro 
quanto basta di vino aromatico - un cucchiaio di zucchero - un bianco d'uovo 
olio o strutto per friggere - circa mezzo chilo di ricotta di pecora 
circa un quarto di zucchero - mezzo baccello di vaniglia 
frutta candita e/o cioccolato fondente e/o pistacchi secondo gusto e fantasia

Prima di tutto mettere la ricotta a scolare, deve essere molto asciutta.
Con farina, strutto o burro, vino ed il primo zucchero fare un impasto di una consistenza adatta alla successiva trasformazione in sfoglia e lasciarla a riposare per una o due ore, ponendola in una coppetta, coperta da un piatto, che dia una sicura tenuta, oggi si preferisce usare la carta trasparente.
Con un normale robot o frullatore a lame metalliche frullare grossolanamente la seconda dose di zucchero, servirà a renderlo più facilmente amalgamabile ed a miscelare i semini di un mezzo baccello di vaniglia. Solitamente abbiamo conservato più o meno lungamente questo zucchero con un baccello integro. Alla fine con un setaccio ricavarne due cucchiai circa del più sottile, sarà lo zucchero a velo per guarnire.
Quando la ricotta è ben scolata setacciarla con un passaverdure a manovella, usando il crivello più sottile ed amalgamarla energicamente e lungamente con lo zucchero aromatizzato. L'aromatizzazione è una pratica non sempre condivisa e c'è chi gradisce la cannella, riteniamo che possa essere una buona pratica, essendo fra l'altro tradizionale per alcune zone della Sicilia.
Stendere la pasta riposata, possibilmente, con mattarello, può andar bene anche la classica macchina per la pasta e, dalla sfoglia del normale spessore delle lasagne o poco più, ottenere dei quadrati di una misura tale che la diagonale ecceda rispetto alla lunghezza degli appositi "tubi", che useremo; questo per facilitare l'estrazione una volta fritti.  

Con il bianco d'uovo spennellare prima e dopo la giuzione e friggere in abbondantissimo olio o strutto per immersione profonda queste cialde, che vengono chiamate scorze. Quando saranno ben cotte porle a scolare e sfilare i tubi appena sono maneggiabili. Questi attrezzi, che in effetti sono una semplice lamina di acciaio ripiegata e non saldata, potrebbero essere anche in vera canna.
Quando saranno ben freddi si riempiono di ricotta nell'imminenza che devono essere consumati, farlo molto prima rischierebbe di inumidire le scorze.
Ovviamente la ricotta può essere variamente condita con frutta candita sminuzzata in pezzature di varie dimensioni, anche la cioccolata è un giustissimo ingrediente ed a questo proposito noi ultimamente abbiamo sperimentato un metodo, che ci ha molto convinti. Sciogliamo a bagnomaria una stecca di cioccolato fondente piuttosto amaro e lo versiamo all'interno della scorza ruotandola e facendo si che la rivesta. Se questo viene fatto senza interessare l'esterno, potrà essere anche una gradevolissima sorpresa. Il Cannolo che si vede qui sopra ha il cioccolato all'interno e non lo si indovinerebbe mai; questo inoltre è stato fatto con ricotta di capra, ottenendo un ripieno più leggero ma altrettanto gustoso, grazie alla non usuale freschezza e qualità della ricotta nello specifico.
Aggiungo solo una nota sul vino della scorza. Abbiamo usato i più disparati: Marsala, Bianchi fruttati ed anche, per una imperdonabile ma graditissima contaminazione, un Primitivo Dolce di eccelsa qualità, oltre 18° di gradazione alcolica e zuccherina.

19 ottobre 2011

Budini di Melanzane con Mozzarella di Bufala

Mesi ideali per questo piatto: Giugno - Luglio - Agosto - Settembre

Ingredienti per 4 commensali:
un quarto di Mozzarella di Bufala Campana - due melanzane piuttosto lunghe 
due spicchi di Aglio - una cipolla bianca media - un uovo - brodo vegetale 
un ciuffo di prezzemolo - due cucchiai di Canestrato Pecorino 
quanto basta di Pangrattato - Olio Extra Vergine di Oliva 
Salsa ricavata da un chilo di Pomodori - un mazzetto di basilico 
 quanto basta di Pepe Nero macinato al momento e sale fino

Sbucciare le Melanzane con taglio sottile e lungo il più possibile, versare le bucce ottenute in acqua salata in ebollizione per un paio di minuti, finché non le si vede ammorbidite, subito dopo bloccarne la cottura, prendendole con una schiumarola e versandole in acqua con ghiaccio, questo le renderà elastiche.
Dadolare la polpa e porla in un tegame con uno spicchio d'Aglio e la Cipolla affettati, coprire a filo con il Brodo Vegetale e porre a cuocere fino ad un iniziale disfacimento, far freddare, frullare, conservando il brodo per eventuali aggiunte.
Aggiungere alla crema si Melanzane l'uovo, il prezzemolo tritato, il pecorino, il pangrattato occorrente ad avere un impasto ancora morbido ed aggiustare di sale, come per tutti gli impasti, lasciare a riposo una mezz'oretta.
Servendosi di formine da budino monodose, rivestirne l'interno con le bucce, lasciando che abbondino, versare della crema, quindi una fetta di Mozzarella, ancora crema e chiudere completamente con le bucce lasciate eccedere nel rivestire lo stampo.
Cuocere a bagnomaria facendo partire l'ebollizione su un fornello, quindi infornare in forno caldo a 190°C per circa mezz'ora, controllarne l'avvenuta cottura con il classico stuzzicadenti.
Nel frattempo preparare la salsa, sbollentando i pomodori, scolandoli ben bene, passandoli e condendoli con Aglio a fettine, pepe, olio, sale e basilico.


Rafanata

Il Rafano o Cren è ritenuto un prodotto prettamente settentrionale, era invece molto diffuso nell'entroterra montano della Lucania, probabilmente era stato introdotto per le sue notevolissime qualità anti scorbuto, è infatti ricchissimo di Vitamina C. Generalmente lo si aggiungeva grattugiandolo direttamente, alla Pasta Asciutta o al Pane Cotto, a Carnevale si faceva un piatto specifico che si chiamava Rafanata, una sorta di Gattò di Patate, con ingredienti molto territoriali, riccamente ed abbondantemente arricchito di Rafano grattugiato.


Ingredienti per 4 persone:
due o tre grosse patate ben lessate in acqua salata - due fette di pane locale raffermo e spezzettato due o tre uova secondo grandezza -  due pezzi di Salsiccia Stagionata piccante tagliata a dadini 
quattro bei cucchiai di Canestrato Pecorino non molto stagionato grattugiato 
due o tre dita di Radice di Rafano grattugiata - quanto basta di sale fino 
due o tre cucchiai di strutto per condire ed ungere la teglia

Spellare le Patate Lessate e schiacciarle con una forchetta quando sono ancora calde, aggiungere le Uova, lo Strutto, il Rafano ed il Formaggio, salare ed amalgamare tutto molto bene, agitando vigorosamente. Aggiungere la Salsiccia, incorporandola bene e porre il tutto in una tiella, possibilmente in terracotta, mettere ancora in superficie qualche fiocchetto di strutto. Infornare in forno caldo a 200°C per una mezzoretta, finché si sarà formata, con l'aiuto del grill, una bella crosticina in superficie.

23 settembre 2011

Orecchiette con Mozzarella di Bufala e Pesto alla Rucola

Ancora una ricetta in cui abbiamo sperimentato la Mozzarella di Bufala Campana con ingredienti Pugliesi. Questa volta sono le Orecchiette di farina integrale, sono al centro di un semplice assemblaggio a caldo, dove abbiamo ricercato lo scioglimento della Mozzarella senza inutili cotture degli altri ingredienti tranne per la pasta.

Ingredienti per 4 persone:
due etti e mezzo di Farina Integrale - un etto di Semola di Grano Duro - sette o otto Noci 
una decina di Mandorle - due Spicchi di Aglio - un ciuffetto di Rucola 
quattro Pomodorini maturi - due etti di Mozzarella ci Bufala Campana 
una decina di cucchiai di Olio Extra Vergine di Olive Cima di Bitonto 
due pizzichi di Polvere di Peperoncino - quanto basta di Sale Grosso e Fino

Innanzitutto fare le Orecchiette come viene descritto qui. Nel frattempo si prepara il Pesto con l'apposito mortaio con pestello in legno, si comincia con noci e mandorle, con aggiunta di sale grosso, i due frutti secchi emetteranno tutto il loro olio, aggiungeremo anche lo spicchio di Aglio e quindi un po' alla volta una decina di foglie di Rucola. Il movimento del pestello dovrà essere più di schiacciamento e strofinamento sulle pareti che di vero e proprio pestaggio. Verso la fine aggiungere anche l'olio extra vergine di oliva, continuando ad amalgamare. Questa volta non aggiungeremo formaggio grattugiato ma normalmente alla fine si fa, con solo Pecorino o solo Parmigiano o una miscela di entrambi.
Bisogna ora preparare quel qualcosa per far sciogliere la Mozzarella. Mettiamo sul fuoco una terrina con uno spicchio di Aglio schiacciato in qualche cucchiaio di olio, per questo ci siamo contenuti nell'aggiunta nel Pesto, ne abbiamo messo il minimo indispensabile per amalgamarlo. In questo Olio appena ben caldo aggiungiamo i quattro Pomodorini sani, aspettiamo che si friggano esternamente per schiacciarli ben bene e togliere quel che ne è restato insieme all'Aglio. In questo olio appena colorato e profumato versiamo le Orecchiette ancora molto al dente e grondanti acqua di cottura. Hanno cotto in acqua appena sufficiente in cui abbiamo aggiunto a freddo tutti gli scarti della Rucola, togliendoli solo al momento dell'ebollizione, quando, salata l'acqua, abbiamo buttato le Orecchiette. Rimestiamo ben bene con una parte del Pesto ed una spolverata leggerissima di Polvere di Peperoncino, infine, spegniamo la fiamma ed aggiungiamo la Mozzarella sfilacciata ma non scolata, copriamo e lasciamo riposare per una decina di minuti prima di impiattare.

La terrina, u Tist o a Tiell o a Tiedd, come si direbbe in varie parti delle Puglie, o a Tiana, in alcune zone della Campania e della Lucania, è indispensabile per questo piatto dove questo strumento eserciterà una stufatura, che consentirà alla Mozzarella di sciogliersi senza assolutamente cuocere.

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