La dieta si fa contenendo le quantità non la qualità

24 settembre 2012

La Pampanella

Un omaggio a questo prodotto ormai quasi del tutto scomparso. Vuole anche essere un appello a qualcuno che ce ne sappia dare notizie.
A riguardo abbiamo fatto una scheda per "Gente del FUD" a cui vi rimando, cliccando sulle parole evidenziate.
Voglio solo aggiungere quel che ho letto recentemente: "Tanto che, sostiene l’altera austriaca, le pampanelle erano in passato riservate alle sole vestali del tempio di Venere che sorgeva in quella che è l’attuale via Duca di Genova (Taranto), zona che ancora ospita tracce e ricordi di quell’antico culto gineceo."
Brano tratto da un interessante articolo scritto sulla Pampanella, che troverete a questo link:  http://www.tarantonostra.com/index.php?option=com_content&task=view&id=1056&Itemid=1
Ringraziamo per la gentile concessione dell'immagine Simona Ardito del blog Ammodomio (ammodomio.blogspot.it )
Questo è il link del blog che, molto cortesemente ed altruisticamente, ci ha concesso l'uso della foto
http://ammodomio.blogspot.it/2009/07/pampanella-pugliese-ammodomio.html

Data l'attinenza e la somiglianza aggiungo qui l'indicazione per consultare anche la scheda del Cacioricotta, sempre in Gente del Fud.



11 settembre 2012

Minestra con Melanzana Rossa di Rotonda e Zucca Estiva


Un Minestrone in estate? Anche una Minestra di Verdure, ci lascia perplessi, ci fa pensare a qualcosa di saporoso si ma anche caldo, fumante ed infondo troppo saporito, che poco s'addice alla calura, al volersi sentire sempre leggero ecc... Farlo leggero ci fa pensare ad un brodo vegetale, buono si ma pur sempre brodo e fa pensare ad ospedali e malattie. Si può fare qualcosa di diverso? qualcosa che ci faccia mangiare delle verdure cotte ma leggere senza le solite verdure grigliate o al vapore, quest'ultime non è che allontanino poi tanto l'idea della malattia e dell'ospedale. Guardate la foto di qui sotto, cosa vi sembra? direi una golosa macedonia, vero! E invece no è una . . . un . . . lo definirei Minestroncino di verdure estive, si può mangiare non più caldo, con o senza del riso o pasta o orzo o farro ed un formaggio a scelta, i tradizionali o anche una groviera o della scamorza semmai affumicata. Credetemi anche semplicemente così senza niente è ottimo.


Bisogna porre attenzione ai tempi di cottura delle verdure, per questo si può procedere in due modi uno è quello di aggiungerle in tempi diversi, l'altro è tagliarle di pezzature diverse. Scartiamo il primo metodo, ci costringerebbe a starci troppo appresso e si sa, in estate meno si sta vicino ai fornelli meglio è, optiamo quindi per il secondo. Faremo così piuttosto piccolo il sedano, le carote e le patate, una via di mezzo per le melanzane e decisamente più grande la zucca, solo graffiata non sbucciata, il tutto senza andare troppo per il sottile, verdure un pochino sfatte, specialmente le patate non ci dispiacciono affatto, in effetti temiamo solo che qualcuna resti cruda ma non c'è problema, abbiamo l'arma segreta: la cottura lentissima in tegame di terracotta, discorso a parte per le piantine di cicoria selvatica, sbollentate a parte, anche per togliere loro un eccesso d'amarognolo, ed aggiunte verso metà cottura.


Riordiniamo gli ingredienti per quattro persone, pensando che debba essere servito così e la descrizione della preparazione e cottura.


sei cucchiai d'Olio EVO - una piccola Cipolla Rossa di A cquaviva 
tre Carote di Polignano - due coste di Sedano - tre Patate medie di Polignano  
due Melanzane Rosse di Rotonda - mezza Zucca estiva sana era più di un chilo e mezzo 
mezzo chilo circa di Cicorielle selvatiche miste - otto Pomodorini Regina di Torre Canne 
un ciuffo di Basilico - un ciuffo di Prezzemolo - un Limone di Sorrento
un piccolo spicchio di Aglio - quanto basta di Sale Grosso 

Metto a scaldare su una fiamma bassissima tre cucchiai d'olio e la cipolla affettata sottilmente, l'espressione "piccola Cipolla . . ." non vi tragga in inganno, dovete sapere che le cipolle normali di Acquaviva pesano tre o quattrocento grammi e quelle grandi circa un chilo. Appena l'olio è abbastanza caldo e la cipolla inizia a sfrigolare, seguono sedano, carote e patate. Al sedano si sono tolti i fili e lo si è tagliato a fettine sottili, le variopinte carote, che hanno i colori delle carote di una volta, prima che l'Olanda imponesse il suo monocolore, sono state graffiate e tagliate a rondelle nella parte sottile e a dadini nella parte meno sottile, infatti queste carote sono anche a forma di carota, cioè hanno quella di un lungo cono, oggi le carote omologate sono quasi cilindriche; le patate sbucciate sono state ridotte a dadini. Rapidamente rimestando si è atteso che tornassero a sfrigolare e si sono aggiunte le rosse melanzane di Rotonda (per questo particolare ortaggio, che si inizia a distribuire un pochino dappertutto, stiamo preparando un post molto grazioso, parleremo anche della sua ipotetica storia e ve ne daremo qualche altra ricetta) a cui si è tolto solo il picciuolo e le si è tagliate a pezzettoni, senza fargli nessun trattamento, il loro accentuato amarognolo e pizzicore darà un "quid" in più alla minestra.  Intanto la zucca è stata graffiata con un coltello seghettato, tagliata in quattro parti nel senso della lunghezza, tolti i semi, è  stata dadolata in pezzi grandi ed aggiunta alla minestra, rimestando ancora e aggiungendo i pomodorini, privati solo del picciuolo e tagliati a metà e qualche foglia di basilico, stracciato a mano. Tornato a sfrigolare dolcemente si è aggiunta acqua fino a coprire il tutto abbondantemente e salato con parsimonia, sia perché l'attuale volume può facilmente ingannare, sia perché sarà buona anche con poco sale, cosa che non può che far bene. A questo punto ci può stare bene anche qualche scorza di formaggio, questa volta non l'abbiamo messo ma spesso lo facciamo; in questo caso è bene astenersi del tutto dall'aggiunta di sale per fare semplicemente una correzione finale, specialmente se intendiamo aggiungerne anche di grattugiato alla fine.
Mentre la cottura procede con un impercettibile sobollire, si puliscono le cicorielle selvatiche, riducendole a pezzetti, e le si sbollentano in acqua salata; saranno aggiunte al resto solo dopo una oretta di cottura. Un totale di due o tre ore e un riposo in pentola di ancora un'ora saranno sufficienti ad ottenere una minestra ben amalgamata. A questo punto la minestra è pronta occorre solo una aggiustatina di sale e al momento di inpiattare un generoso filo di olio crudo ed una spolverata con il formaggio grattugiato che più ci aggrada, noi siamo per il Canestrato Pugliese Pecorino. Volendo fare qualcosa di veramente speciale, un piatto super da stupire eventuali ospiti o coccolarci alla grande, nella mattinata ci siamo preparati una specie di pesto molto liquido, usando la tecnica di questo, schiacciando lo spicchio d'aglio, il basilico e il prezzemolo in un mortaio con pestello di legno con del sale grosso, ridotto tutto in poltiglia abbiamo aggiunto abbondante olio, otteniamo così un olio aromatizzato con pochi odori, a questo aggiungiamo in fine una generosa grattata di buccia di limone.
All'inpiattamento usiamo quest'olio che ha riposato qualche ora, credo che possiate tranquillamente immaginare l'effetto che fa.

Questo è un piatto altamente dietetico, diuretico e depurativo. Quando lo prepariamo ne facciamo in abbondanza e con molta acqua. Lo conservo in frigo, tenendo a parte il brodo che scolo prima che si raffreddi in maniera che l'ultima parte della cottura la faccio al momento di mangiarlo, riscaldandolo.
Con questo brodo e con l'aggiunta finale delle verdure ho fatto anche dei gustosissimi risotti, orzotti e farrotti estivi, gradevoli anche quando non più caldi. Ottimo abbinamento sono anche i fagioli estivi cotti a parte ed aggiunti nell'ultima fase, a tal proposito aggiungo che, generalmente, tra le verdure ci sono i fagiolini, non menzionati perché non aggiunti in questa occasione.

Con questa ricetta partecipiamo al contest dedicato ai cocci del caro amico Max "Un Coccio al Mese per 12 Mesi" per il mese di Settembre





10 settembre 2012

Fico d'India come te lo pulisco

Questo è un altro dei doni di Cristoforo Colombo, altro che componente del paesaggio del film di Zeffirelli sulla vita di Gesù Cristo. In Palestina ce ne sono, come in tutto il Mediterraneo ma hanno cominciato ad esserci solo verso il '600 '700. Ha trovato un clima adatto, dove è stato piantato ha preso con facilità e le deiezioni dei golosi animali hanno fatto il resto. E' diventato talmente invasivo che in alcuni casi ci si è dovuti impegnare a toglierli per evitare di stravolgere i paesaggi. Alla sua straordinaria diffusione ha contribuito anche la lunga conservazione del frutto raccolto, che lo ha fatto diventare utile componente delle cambuse dei marinai, sempre in cerca di vegetali che si mantenessero sufficientemente freschi anche quando non c'erano i frigo.
Generalmente crescono semiselvatici solo in alcune zone sono oggetto di una vera coltivazione, in America, Sud e Messico in particolare, sua vera terra d'origine, anche perché si presta all'allevamento di una cocciniglia da cui si estrae un prezioso colorante il carminio. Li coltivano anche in Sicilia, producendo i così detti Bastardi; la produzione sfrutta una caratteristica propria di queste piante: fare una seconda fioritura più abbondante se private della prima e da questi fiori produrre dei frutti più grandi a maturazione tardiva autunnale di facile conservazione, che li fa arrivare anche fino a Natale e in luoghi di vendita lontani, spuntando così dei prezzi più alti, che uniti ad una produzione maggiore, fa assorbire le maggiori perdite, dovute alla consevazione, lasciando addirittura guadagni molto maggiori, tutto questo favorito dal clima della Sicilia. 
Ormai il Fico d'India con le sue pale è un componente fondamentale del paesaggio mediterraneo e non se ne può fare a meno, nell'immaginario collettivo sembra che ci sia sempre stato, scarsa fortuna sembra invece avere il consumo giornaliero del suo frutto, è vero che l'estate ci dona talmente tanti frutti che si rischia sempre di saltarne qualcuno ma questo sembra che lo si scansi in particolare, segno ne è la quasi assenza dalle bancarelle dei mercati, scarsa offerta deriva da scarsa domanda, scarsa offerta fa diminuire i consumi e così via fino alla scomparsa del prodotto come è accaduto per tanti altri.


Sono convinto che sullo scarso consumo molto influisca la difficoltà e l'ignoranza della sua pulizia. Molti fruttivendoli li vendono in sacchetti già puliti però i dubbi sulla scarsa pulizia del prodotto sono legittimi e spesso fanno desistere, poi la mancanza di freschezza del prodotto, che degrada rapidamente una volta sbucciato, fa il resto. Il Fico d'India va infatti pulito pochi minuti prima di mangiarlo altrimenti produce in superficie una patina viscida ed uno strato ossidato poco piacevoli, la stessa cosa che succede all'anguria. Per entrambi questi frutti sconsiglio vivamente la bruttissima abitudine di pulirli al mattino e metterli in frigo per tenerli "belli freschi", li si trova freschi ma molto poco belli.
Pulire i Fichi d'India è abbastanza facile conoscendone la tecnica. Innanzitutto, se possibile ci si dovrebbe far aiutare dalla natura, raccogliendoli solo dopo un abbondante e copioso acquazzone, che ne faccia cadere le spine specialmente a quelli veramente maturi. Gli acquazzoni erano soliti fino a poco tempo fa, fin dalla metà d'agosto erano quasi giornalieri e segnavano la fine dell'estate. Questo può essere di poco aiuto sia perché non ce ne sono più, sia perché i fichi d'India li prendiamo al mercato e poco ne possiamo sapere ed allora, avendoli portati a casa chiusi in un robusto sacchetto, li teniamo in fresco e poco prima di metterli in tavola apriamo il sacchetto con attenzione e li versiamo in un capiente recipiente pieno d'acqua e in esso li rimestiamo vigorosamente con un bastone e non con le mani. Ripetendo questa operazione e buttando l'acqua dopo aver lasciato riposare così che le spine vengano a galla e i frutti privi restino a fondo, si potrà essere sicuri che di spine non ce ne siano più ma fare un'ultima sciacquata può essere consigliabile.
Ora potremmo mangiarli anche con la buccia ma è meglio sbucciarli, cosa occorre? Un tagliere o un piatto piano, un recipiente in cui mettere i frutti puliti ed uno per le bucce e, cosa fondamentale un coltello non troppo lungo e, più che altro, molto ben tagliente.

Cominciamo con un taglio verticale della punta da cui era attaccato alla pala.Questi tagli devono essere generosi, non siate tirchi, non pensate a quanto li avete pagato, ne va dell'intera riuscita dell'operazione. Per ottenere un buon risultato bisogna che la parte che resta abbia una forma quanto più prossima ad un cilindro e non a due tronchi di cono uniti per la base, ho dei dubbi ma spero di essere stato chiaro. Nel proseguo della vostra operazione vi renderete conto di quanto prezioso sia il mio suggerimento di iniziare da una punta piuttosto che dall'altra e dell'importanza della geometria dei solidi.
Segue un taglio, sempre verticale, della parte opposta dove il fico d'india presenta una specie di coroncina. Attenzione a questa parte è meglio evitare di toccarla, malgrado la pulizia, spesso qui resta annidata qualche spina. E' ovvio che bisogna evitare di far toccare il frutto alla buccia, qualche residua spina può sempre essere in agguato.
Il pericolo è il mio mestiere, era il titolo di una vecchia trasmissione televisiva in cui si esibivano soggetti che esercitavano professioni pericolose, mi domando ancora come mai non c'è stato mai un pulitore di fichi d'India tra questi.
Si passa ora al taglio della sola buccia in senso longitudinale. Noterete che la buccia è costituita da una cuticola molto consistente e da una parte che sembrerebbe polpa ma che tale non è, essendo filacciosa anche se gustosa, bisogna tagliare fino alla polpa. Certamente i primi tentativi saranno  esplorativi e piuttosto dedicati allo studio dell'anatomia del fico d'India che alla vera e propria pulizia dello stesso. E' fondamentale capire come è fatto per capire cosa fare per spellarlo correttamente. 




Passiamo ora all'asportazione della vera e propria buccia, scostandola con la lama del coltello; non sarà necessario effettuare nessun altro taglio, basterà allontanarla con attenzione e decisione e contemporaneamente rotolare il frutto tenendo ferma la buccia con il coltello. Il frutto si staccherà completamente. Voilà ecco il frutto bello pulito da una parte e l'ostica buccia dall'altra.

Alla fine il gioco è fatto e potrete servire ai vostri cari un succoso piatto di freschi fichi d'India e non raccontatelo a chi amorevolmente, stanco/a della sua giornata lavorativa vi rivolgerà la fatidica domanda: cosa hai fatto oggi? Potrebbe dirvi: a me i Fichi d'India non è che piacciano tanto. Per i bambini, solitamente nemici delle novità, è scontato che probabilmente non vorranno neanche assaggiarli. Consolatevi pensando che è colpa vostra e di vostra suocera, non li avete acquistati abbastanza spesso.


4 settembre 2012

Crepes Bretonne de Blé Noir - Crepes Bretoni di Grano Saraceno

Antica casa bretone a Le Conquete nel Finistère
Media marea - Le Conquete Finistère
Alta marea - Finistère
 Quasi mezzo secolo fa Mimmo conobbe la Bretagna, le sue case di pietre, granito non calcare come la Puglia ma tante, tantissime a formare anche muretti a secco come la Puglia, le sue spiagge impraticabili, sempre bagnate, che al cambiare dei metri di marea, cambiavano completamente aspetto. Vide per questo coltivare in riva al mare con i trattori tra  filari. Ritornando qualche ora dopo era tutto sparito, quelle che erano grandi rocce, saldamente piantate nel terreno, erano diventate scogli, appena affioranti da un mare, che difficilmente si capiva aver preso il posto delle piantagioni, tanto il paesaggio era stravolto ed incredibilmente cambiato. La strada non passava più tra contadini al lavoro con i loro attrezzi, anche trattori con rimorchi stracarichi, ma in riva ad un mare battente violentemente su scogli. Gli spiegarono allora che quelle specie di tendoni d'uva, non erano affatto tali, quei pali e quei filari sorreggevano cestini e cordame degli allevamenti di Moules, Huitres, Crabes cioè cozze nere, ostriche e enormi granchi.

Alignement di Menhir
Carnac - Dolmen
Conobbe i monumenti preistorici bretoni, dolmen, menhir solitari ed in file infinite e non solo; non ne aveva mai sentito parlare; seppe molto dopo che anche le Puglie ne erano piene, nessuno allora ne parlava, facevano parte di una preistoria ufficialmente sconosciuta, di riti troppo oscuri e troppo pericolosamente conservati, continuati da essere vivi e frequentati in epoche troppo recenti nelle credenze popolari e in riti pagani sopravvissuti nei quali le religioni ufficiali vedevano forse una minaccia, la Pizzica con il suo collegamento ai riti dei tarantati è la punta dell'iceberg costituito da culture ancestrali, che riaffiorano ora che se n'è quasi perso ogni reale significato.
Bretagna - Carnac -Alignement di Menhir




Tri Martolod - Canto Bretone - Alan Stivell (arpista) è uno dei più importanti musicisti bretoni

I bretoni, come noi, cantavano e tanto. Non le canzoni che si cantavano in Italia e nel resto della Francia ed Europa. Mimmo conobbe così le canzoni dei Celti e l'importanza dei celti stessi, una nazione a parte, spesso separatista. Genti diffuse dal nord della Spagna a buona parte del Gran Bretagna, passando dal nord della Francia, proprio la Bretagna, spesso più culturalmente vicine tra loro di quanto con la nazione ospitante. Ci sono più tradizioni comuni tra galiziani, asturiani, bretoni, gallesi, irlandesi, scozzesi, che tra bretoni e francesi o galiziani e castigliani. Addirittura allora gli anziani difficilmente parlavano in francese, che poco conoscevano, parlavano correntemente in bretone, imitati dai giovani più colti, che sentivano molto l'appartenenza celtica e la coltivavano con slancio ed ostentazione entusiasta, tipica della gioventù.
Bretagna - Finisrère - Menhir de Kerloas
Mimmo fu ospitato a Saint-Renan nel Finistère, la fine della terra del nord, lui nato e cresciuto non lontano da un'altra "fine della terra", quella in Salento, Lu Capu, il Capo di Leuca. Saint-Renan era famoso per essere nei pressi del Menhir de Kerloas, il più alto al mondo, quasi dieci metri pur avendolo un fulmine accorciato di quasi un metro. Erano però tutto il giorno e quasi tutti i giorni in una località turistica sull'Atlantico, Le Conquet, posta nelle vicinanze delle più estreme propaggini del Finistère, costellate da promontori, molti mitici ed anche tristemente famosi, presenziati da fari che hanno fatto la storia della fanaleria mondiale, come Point du Raz e Cap de la Chèvre . Questa, che oggi è una località rinomata, era allora all'inizio della "valorizzazione". Certo parlare di località turistica marittima per Mimmo, abituato alle spiagge mediterranee era pressoché incomprensibile, sulla spiaggia si stava con il maglione, riparandosi dal vento dietro alle cabine. Le esagerate basse maree, facevano stare spesso lontanissimi dal mare con le barche tristemente coricate ed in secca e i trampolini per i tuffi sulla sabbia, ancor più tristi ed inutili. Arrivare al mare era una impresa ed allora un fugacissimo bagno si faceva solo se c'era l'alta marea e si approfittava, più che altro, per uscire con le barche a vela. Naturalmente non era come da noi, il vento, appena fuori, era impetuoso si ma il mare aveva una "accattivante" onda lunga, piuttosto costante nella sua direzione. Ecco perché i bretoni sono tra i migliori velisti al mondo; alcuni di quei ragazzi abitualmente andavano a fare "un salto" in Inghilterra con barchette non più lunghe di cinque sei metri, munite solo di vele, con questo non voglio dire che nella Manica si naviga più facilmente che nel bizzarro Mediterraneo ma che le loro condizioni aiutano molto a superare obiettive difficoltà dell'Atlantico del nord per giunta.
Fu lì che sentì per la prima volta una canzone, destinata a fare epoca. Era cantata da un pacifista, coacervo di razze mediterranee, un ebreo italo-greco, nato e cresciuto ad Alessandria d'Egitto, diventato poi francese ed ormai esponente di questa caleidoscopica cultura, Geoges Moustaki e la canzone era Le Meteque (il Meticcio).

Portò in Italia questo disco francese e fece conoscere ai suoi amici in anteprima la canzone destinata a spopolare di li a poco anche nella versione italiana, diventata Lo Straniero

Velosolex
Renault R4 

Citroen 2Cv
                                           FIAT 500 Giannini 
La donna di servizio, una suora laica, arrivava ogni mattina a cavallo del suo Velosolex, accompagnata dal profumo dei croissants vuoti e delle baguettes appena sfornati, che diventavano subito colazione, imbottiti di burro salato e marmellate, accompagnati da uno dei migliori latti mai assaporati. I pascoli della salata brughiera facevano miracoli.
La tribù dei giovani si spostava da Sanit-Renan a Le Conquet con R4 e 2Cv, tutte rigorosamente private delle porte, sostituite con catenelle, qualcuna era anche senza tetto, vetri e, generalmente, avevano la ruota di scorta sul cofano anteriore o posteriore; Mimmo e il suo amico Gianni erano arrivati lì con la FIAT 500 Giannini con la leva del cambio accorciata e il volante rimpicciolito, facendosi più di 2.500 chilometri, una "figata" si direbbe oggi.
Mimmo conobbe anche cibi molto diversi, non era ancora arrivata la Mac Donald e neanche le pizzerie, ne doveva passare di tempo ancora; le serate si passavano nelle Creperie dove si mangiavano Crepes dolci o salate, più propriamente, le dolci si chiamavano Galettes, e si beveva birra ma più che altro Sidro, il suo alcolicissimo distillato, l'Agnole e il più nobile Calvados, ottenuto invecchiandolo in botti di quercia. Tutto estratto dalle mele. Meline brutte, ammuffite e dall'apparenza selvatica. Proprio in una di queste creperie Mimmo fu acclamato come eroe o pazzo del giorno, aveva avuto il coraggio di fare il bagno nel mare dell'Ile d'Ouessant, un'isola nell'Atlantico all'ingresso de La Manica, estrema propaggine del territorio francese nell'oceano. Che sapeva lui, qualcuno glielo avrebbe anche potuto dire, che l'acqua dell'oceano anche ad agosto è di pochi gradi, che sapeva. Qualcuno glielo avrebbe anche potuto dire, che si sarebbe trovato in mezzo a dei mostruosi nastri fluttuanti a fior d'acqua, larghi decine di centimetri e lunghi decine di metri, le alghe di quel mare, che sapeva. Qualcuno glielo avrebbe anche potuto dire, che l'Ile di Ouessant in bretone si traduce in qualcosa che significa Isola del Terrore.
Eroe di tutt'altro genere fu acclamato quando, con la frettolosa esperienza di studente fuori sede, preparò per una ventina di ragazzi gli Spaghetti con le Cozze (la rossa e tarentina Past e Cozz), le Moules, queste fu facile trovarle ed erano anche buone, non poteva essere altrimenti, avevano anche qui imparato a coltivarle dai suoi compaesani, i tarantini, gli spaghetti e i pelati, solo e soltanto Barilla, li trovarono in un ipermercato, il primo che vedevano, in Italia non erano ancora arrivati, il prezzemolo, strano, tutto riccio, c'era, c'era anche l'aglio e il pepe, ma, e l'olio d'Oliva? Bho!?!? si rinuncia o si usa olio di semi? "Je sais où le trouver, c'est un médicament, j'ai fait des cataplasmes, vous devez chercher dans la pharmacie" "so dove trovarlo, è una medicina, ho fatto i cataplasmi, dovete cercare in farmacia", così tradusse Gael, la bellissima amica di Mimmo, traducendo dal gaelico, quel che aveva detto la vecchia zia Hode, mentre si sistemava in testa il cappello, che non era "di carta di riso", come recita una vecchia canzone di De André, ma di Bigouden.
 Lo trovammo l'olio di oliva, lo vendevano in bottigline da 50cc. Che impressione a Mimmo e i suoi amici sembrava olio di ricino o olio di fegato di merluzzo.
Un successone, altro che pesce, peraltro eccellente, lesso con maionese e patate lesse e ripassate nel burro o patate lesse cosparse di burro salato, eccellente, per contorno insieme ad insalata verde, che sapeva di paglia, con pomodori, che sapevano di . . . niente, conditi con olio di semi, dicevo per contorno ad enormi pesci o Crabes, granchi, tanto grandi che le zampe e le chele si dovevano rompere con il martelletto, quella specie di fattapposta a forma di schiaccianoci, spesso non bastava, chiaramente questi erano lessati e si condivano con la maionese, fatta in casa e a mano, che non so se l'ho già detto, ma lo ripeto volentieri, era: fa_vo_ lo_sa; Mimmo spesso, quando la fame si faceva sentire, appunto spesso, ci si faceva delle belle fette di pane o pezzi di baguette. Eccellenti ma, probabilmente perché carissimi, i formaggi, erano serviti a mollichine, come anche il vino, a tavola se ne vedeva solo una bottiglia, "da invecchiamento" come dicevamo noi allora che il vino lo comperavamo sfuso o al massimo in bottiglie con il tappo a corona, spesso, malgrado non fossero mai meno di una decina, non veniva neanche finita quella bottiglia, tanto modeste erano le porzioni. Eppure la famiglia era proprio benestante come dimostravano tutti i normali segnali, le dimensioni delle due case, delle auto, delle barche, queste in particolare, il loro numero superava i componenti della famiglia. Una di queste barche, un vero e proprio piccolo peschereccio, serviva alla signora per andare a posare e ritirare reti e nasse. Frutto di questa pesca era tutto il pesce che si mangiava, oltre alle crabes, prendeva spigole, merluzzi, sogliole, rombi, tutti pesci che superavano e di molto il chilo. Non fraintendete, la signora madre era un medico, non una pescatrice ed il signor padre era uno psichiatra con una sua clinica.
Le crepes e le galettes non si facevano in casa, si mangiavano solo in creperie, quindi Mimmo non le aveva mai viste fare. Al ritorno in Italia quasi le dimenticò, non erano ancora arrivate, le rimangiò dopo molti anni, una ventina quando ritornò da quelle parti in camper, con la famiglia, le figlie ormai circa ventenni. Le apprezzarono molto e le mangiarono spesso. Dopo poco tempo cominciarono a diventare comuni anche in Italia, generalmente dolci, con la famosa crema di cioccolata e nocciole, la stessa base usata sia per quelle dolci che quelle salate ed anche, "giustamente" lo stesso nome. Non è così in Bretagna, la loro patria, quelle salate sono fatte con una ricetta completamente diversa, a base di farina di Grano Saraceno, che come saprete non ha niente a vedere con il grano, non è infatti una graminacea, è una erbacea, al limite si potrebbe considerare come un legume, non contiene glutine, per questo non panifica e per impastare la sua farina è necessario miscelarla con farina di grano. In effetti è più parente delle banane che del frumento, pensate un po' voi.
Qualche volta le facciamo in casa secondo una antica ricetta originale bretone, insegnataci, dopo tante insistenze e lusinghe da una carissima amica, bretone doc, proveniente da un paesino del centro della Bretagna rurale. Con le dosi, che vi andrò a riportare, lei, e sottolineo "lei", riesce a fare, usando una piastra a gas di 60 centimetri una dozzina di galettes, pur riempiendo la piastra al limite tanto è brava a farle sottili e quindi con cottura velocissima, stendendo l'impasto con uno specifico attrezzino in legno, una specie di rastrellino senza denti, che si vede in mano ai professionisti della crepes. Oggi si trova comunemente anche da noi.



Per fare molte Crepes, la quantità per cinque o sei persone, basta un uovo, che, essendo indivisibile si usa come base di partenza della ricetta per la quale occorrono anche:
250gr di Farina di Grano Saraceno - 60 gr di Farina 00 - mezzo litro di latte
250cc di acqua - quanto basta di sale - burro salato per imburrare

Con questa dose si dovrebbero ottenere, come detto, circa una dozzina di crepes, utilizzando la tipica piastra in ghisa di 60 cm di diametro, di cui, tranne che non siate dei veri cultori, difficilmente ne disporrete mai. Diciamo che se ne ottengono una ventina e più, utilizzando una normale padella antiaderente da 25 o 30 centimetri, disponibile sicuramente in tutte le case. Una dose del genere soddisfa abbondantemente un pasto completo di almeno quattro o cinque commensali e ne resta anche qualcuna.
L'impasto si prepara in una capiente coppa, tenendo presente che, nelle due ore circa di riposo successivo, crescerà, si fa la solita fontana con le due farine a cui aggiungere uovo e sale. Si comincia a miscelare aggiungendo pian piano il latte e l'acqua, le proporzioni tra loro possono essere variate secondo i gusti. Il risultato finale sarà piuttosto liquido e si lascia a riposare coperto per due orette in un posto riparato dalle correnti d'aria. 
La piastra o padella che sia, fatta riscaldare, tanto da avvertirne forte il calore sul palmo della mano avvicinata, si dovrà leggermente imburrare, solo un velo, sparso per bene con una pezzuola imbottita da un po' d'ovatta a formare un tamponcino, che verrà intinto nel burro, ben lavorato, pertanto morbido a pomata, posto in una larga tazza. A proposito di burro salato, se non lo doveste trovare, lo si fa in casa, usando un burro eccellente di quello fatto con panna e non con siero, lavorandolo per ottenerlo a pomata ed incorporandoci del sale marino, meglio se non finissimo, sarà utilissimo per tante cose, tutto direi, provatelo nella classica tartina con marmellata. Lo si prepara con molto anticipo e si lascia riposare, consentendo al sale di diffondersi alla perfezione. Questo burro servirà anche ad insaporire la crepe e, forse, a cuocerla meglio, facendola staccare con facilità, oltre che per effetto dell'untuosità anche della temperatura diversa che raggiungerà, grazie al sale.
Con un mestolo prendete dell'impasto, un mestolo normale pieno per due terzi contiene impasto per una crepe di circa 25 cm, distribuitelo con un movimento circolare, continuo e unico sulla superficie, con il dorso del mestolo e muovendo la padella dal manico completare l'opera. Muovere la piastra non è altrettanto agevole, con quelle professionali è impossibile, per questo la padella casalinga è tanto meglio per i principianti. Non vi scoraggiate se la prima non riesce, è quasi sempre così, di solito per un eccesso di burro. Quanto questo sia vero lo costaterete nel tempo, infatti imparerete bene e presto, tornerete sicuramente a farle spesso. 
La crepe si staccherà da sola e con facilità appena sufficientemente cotta, l'unzione della piastra dovrà avvenire per ognuna. 
Galette Complete

Crepe con Provola Affumicata e Salsiccia dolce e piccante
Le bolle sulla superficie sono date da un eccesso di calore della piastra
Quando è asciutta abbastanza si procede al condimento e farcitura, può essere con il semplice burro salato e/o con salumi, generalmente prosciutto cotto o pancetta a fette o striscioline, e/o formaggi, generalmente groviera, anche grattugiata, o formaggi morbidi, spalmati grossolanamente, anche di pecora o capra, e/o uova a occhio di bue o condite e strapazzate come frittatine.  Ognuna, nella tradizione bretone, assume un nome, quella che contiene tutti e quattro i componenti classici si chiama Complete. Il condimento si mette al centro e poi la si può 
chiudere completamente, ripiegandola su se stessa alla metà più o meno precisa, come si farebbe con una omelette, la si chiude anche solo in parte e con fantasia, formando un quadrato, un rettangolo, un triangolo e anche altro, facendo vedere o intravedere il ripieno o parte di esso. La si avvolge anche a formare una cornucopia, questo è un sistema, ripiegando opportunamente anche la punta, per ottenere una crepe da passeggio, gli si da in effetti la forma che solitamente si da' alla piadina. L'unico limite è la fantasia, la forma, la duttilità della pasta cotta al punto giusto ed il gusto abbastanza neutro consentono forme e abbinamenti infiniti anche con carne, pesce e verdure crudi o, più spesso, precedentemente cotti, marinati, trattati insomma perché una semplice e rapida scaldata li arricchisca. 
Crepe con Groviera e Pancetta - Crepe con Prosciutto Cotto e Groviera
Crepe al Burro Salato e Uovo a Occhio di Bue e Crepe con Peperoni arrostiti in insalata con Sedano e Aglio

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