La dieta si fa contenendo le quantità non la qualità

20 dicembre 2013

Anguilla al Forno

Le Anguille, ottimo pesce, per la forma serpentiforme è non facilmente gradita se non in certi luoghi dove invece è venerata. Noi la gradiamo abbastanza e ci duole trovarla sono nel periodo che va dall'Immacolata, 8 dicembre, al Natale se pure.
Questa Anguilla al Forno è una nostra rielaborazioni di piatti simili dove eventualmente è preparata in spiedini o spiedoni per cotture al camino, fatti anche, ed ancor più, con il Capitone, che altri non è se non la femmina, ben più grande e grassa.
Questo secondo piatto solitamente lo prepariamo avendo per primo la Pasta con le Anguille (clicca per ricetta), destiniamo al ragù per la pasta la parte con la testa e la coda, parti meno nobili, ed a questo le parti centrali più polpose ed agevoli da mangiare, lasciando necessariamente pelle e spina, unica e centrale.


Per la preparazione a quattro commensali occorre un quarto d'ora circa, anche meno se la pulizia ed il taglio si è fatto fare al pescivendolo, e una mezzora quasi per la cottura, occorrono anche i seguenti ingredienti:


un chilo circa di Anguille, otto cipolle rosse medio grandi, una decina di foglie di alloro,
due cucchiai di Olio evo, quanto basta di Sale fino e Pepe Nero al mulinello 

Innanzitutto tagliamo a fette non troppo sottili la cipolla e la mettiamo a marinare in un Aceto di Vino Bianco, con un pizzico di sale, pepe macinato al momento e foglie di Alloro.


 

Se le anguille non ce le siamo fatte preparare dal pescivendolo, abbiamo un compito arduo, non seguendo alcuni accorgimenti. Le Anguille, resistono benissimo fuori dall'acqua e grazie al loro particolare sistema nervoso, sono vivaci e mobili anche dopo essere state tagliate. Il miglior modo o quello che noi abbiamo adottato ormai da anni, avendolo creduto il migliore, è la sosta in freezer di una mezzora almeno, il freddo le fa cadere in letargo, ne approfitteremo per sventrarle, pulirle, lavarle e tagliarle in tre o quattro pezzi.

Ungiamo con Olio evo molto moderatamente il fondo del recipiente di cottura, vi distribuiamo ordinatamente un letto di cipolle ed alloro, quindi i pezzi di anguille, saliamo e pepiamo ancora un po' e mettiamo in forno caldo a 170° C per, almeno, una ventina di minuti o poco più, dipende dalla grandezza dell'anguilla e da quanta ne abbiamo messa in forno mantenuto a temperatura di 170°C, meglio se ventilato.
Serviamo accompagnandole con la cipolla e qualche sott'aceto, che ci sgrassi la bocca.

Linguine con le Anguille

19 dicembre 2013

Cresci Cresci - Massa per Pizze e Focacce

Ingredienti:
per mezzo chilo circa di Semola di Grano Duro, 
duecentocinquanta cc circa di Acqua tiepida, 
cinque grammi di Lievito di Birra, una decina di grammi di Sale fino


Il "circa", a proposito dell'acqua, è d'obbligo perché non possiamo calcolare l'umidità residua della farina e dell'ambiente, che comunque entrano nell'impasto, servono anche a non darvi l'idea di star facendo un procedimento chimico, sdrammatizziamo, stiamo per fare uno dei gesti più antichi, avvezzi all'uomo fin dalla più antica preistoria.
Un gesto importante, quasi sacro ma nulla assolutamente di difficile ed irrecuperabile ad ogni imprecisione.
Il "circa" significa che, come si può sbagliare, si può anche facilmente correggere.

Iniziamo con l'arieggiare la semola, setacciandola con l'apposito attrezzo, che può essere sostituito da un passino a fori molto sottili. Questa è una operazione quanto mai importante per la resa finale, l'incorporo dell'aria è l'esigenza primaria per la crescita dell'impasto, purtroppo vediamo questa pratica sempre meno suggerita, direi addirittura dimenticata.
Lasciando un pugnetto di semola da parte per aggiunte e spolverio sul piano di lavoro in corso d'opera, andrà comunque sempre a finire nella massa finale del tutto o in parte, fare la tipica fontanella con un incavo laterale, la casetta del sale; in punta di dita, aggiungendo un minimo d'acqua, scioglieremo il lievito, posto al centro della corona, e lo incorporeremo nella farina, con l'ulteriore aggiunta graduale dell'acqua tiepida (acqua di sole, diceva la nonna). Contemporaneamente si incorporerà il sale senza che venga direttamente a contatto con il lievito, prima che questo sia abbastanza incorporato nella farina. Il sale, indispensabile al sapore dell'impasto, è un inibitore della riattivazione dei lieviti, operazione che in effetti si compie con la prima aggiunta d'acqua e incorporo di farina.
Le punte della mano desta incorporeranno i componenti e la sinistra verserà l'acqua poca per volta, pian piano, senza fretta, si formerà la massa.
Qui, in questo nostro filmato in Youtube, potete vedere la tecnica di impasto delle Orecchiette, che, a parte l'aggiunta di lievito, è del tutto uguale 


  Ora si passa a lavorare a due mani con energia, fino a che diventa un composto omogeneo e dalla consistenza morbida, spolverando di tanto in tanto la spianatoia o aggiungendo ancora qualche goccia d'acqua, tenuta da parte per eventuali aggiusti, avvertendo una eccessiva durezza.
In effetti si va avanti a piccoli passi, piccole aggiunte di farina sono necessarie per lavorare sulle spianatoia e pulire le mani, di conseguenza, piccole aggiunte d'acqua potrebbero occorrere. Alla fine ci ritroveremo tra le mani quel che vogliamo, un panetto morbido, non più attaccaticcio e soffice per l'inizio della crescita già in atto. Dalle mani, impiastricciate all'inizio, abbiamo man mano potuto staccare tutto l'impasto, spolverandole con farina asciutta, briciole che man mano abbiamo incorporato nell'impasto.
Nulla deve andare disperso, quante volte abbiamo visto il bruttissimo gesto di pulirsi le mani e la spianatoia alla fine, buttando via tutto. Quanto mai l'avrebbero fatto le nostre mamme e nonne.





Dividerla in più panetti a seconda delle esigenze, formandoli fare delle pieghe verso l'interno, incorporando aria. Metterli a crescere coperti e lontani da correnti d'aria, il miglior posto risulta spesso essere il forno, dove, volendo alzare leggermente la temperatura, sarà sufficiente l'accensione della lampada interna, se ad incandescenza. Si usa generalmente fare un taglio a croce su ognuno ("Cresci, Cresci" dicevano le nostre mamme e le mamme delle mamme, facendo i due tagli, come a benedire ogni panetto, le nostre donne hanno sempre fatto così, anche quelle non credenti), quella croce sarà poi la "spia" del punto di crescita raggiunto.


 





La crescita, che dipende dalla temperatura ambiente e dalla percentuale di lievitante, dovrebbe durare in questo caso, data la minima quantità di lievito, almeno sette o otto ore, spiando finché l'aspetto non sarà simile a quello della foto di fianco, dove il taglio a croce è appena percepibile, la crescita l'ha quasi cancellato, la palla cresciuta risulterà meno palla e sarà diventata più soffice e leggera per lo sviluppo di gas al suo interno.
Volendo accelerare le operazioni per mezzo chilo di farina si può anche arrivare a 25 gr di lievito, una intera tavoletta, in questo caso sarà sufficiente un'ora di crescita, anche meno in estate, questi sono il minimo ed il massimo da noi sperimentati.
Non si può pretendere che al primo tentativo si abbia una riuscita eccellente, occorre un pochino di esercizio e sperimentazione, quello che ci sentiamo di garantire è che se seguirete queste istruzioni fin dalla prima volta otterrete risultati accettabili, nulla andrà perso.

Questi panetti potranno poi essere utilizzati per le ricette di Pizze, Panzerotti, Calzoni, Sfugliulate e Focacce semplici o ripiene, per ognuna ci potrà essere un accorgimento diverso, che andremo ad indicare nei posts specifici. Gli accorgimenti faranno discostare di poco o niente la preparazione da questa base comune, potranno essere un po' di semola rimacinata in più o in meno, l'aggiunta si strutto o olio agli impasti, ecc . . . 

9 dicembre 2013

Orecchiette di Semola Cappelli con Senàpe in salsa di Cozze Pelose e Cannolicchi

So già. Con questa ricetta scateneremo le ire dei puristi, li sento già: la Cozza Pelosa con la Pasta . . . , solo cruda e senza niente, in purezza accompagnata da Pane e Provolone piccante.
E' da tempo che ci penso, provare a cucinarla e farci della pasta, forse due spaghetti. Ho aspettato che cominciassero ad essere belle piene, il tempo più o meno è arrivato e allora? mho facciamo, al massimo ci tocca Pasta al Burro, di peggio non può succedere, se non lo diciamo a nessuno.
Invece ve lo voglio proprio dire, è venuto un bel piatto robusto e prepotente, di quelli che piacciono a noi. Forte personalità e nerbo, niente mezze misure; pensavamo ad un primo approccio soft, lo spaghettino, una cottura in salsa così che la Cozza Pelosa si smorzasse in un sugo di pomodoro, . . . , abbiamo invece preferito prendere il toro per le corna e dare libero sfogo alla personalità della Pelosa, così famigliarmente la chiamiamo a Taranto, dandole del "tu".
Di primo mattino un bell'impasto di Semola di Grano Duro Senatore Cappelli "Mangiare Matera". Rita
ne farà delle Orecchiette "a mestra". Contrariamente alle nostre abitudini, per cui la Pasta Fresca deve essere tale, pochi minuti dalla fattura alla cottura, questa volta vogliamo farle per tempo, che secchino un pochino e ci permettano una ripassatina tranquilla in padella, già comunque garantita dalla qualità della materia prima. La ripassata arricchirà la pasta, se corna dobbiamo afferare, che siano.
Un salto al mercato dietro casa, dal nostro "spacciatore preferito", in questi ultimi tempi si sta
comportando proprio bene. Prendo un chilo di Pelose, ne basterebbe poco più della metà, ma aprendole, aprendole qualcuna non la dobbiamo assaggiare? Poi il cozzarolo "dottò non c'ho resto, doje Cannlicchie?" Il furbo aveva visto il mio sguardo libidinoso, che li accarezzava mentre li sistemavano sul banco, arrivavano in quel momento da Margherita di Savoia, potevo dirgli di no? Sinceramente me ne avrà dati almeno il doppio di quelli che ne avrei dovuti avere, vorrà dire che, se qualcuno avanza dallo spuntino, seguirà le Pelose in padella, perché no?
Ora tocca al fruttivendolo, quello delle Cime di Rapa speciali, non ve lo avevo ancora detto che questo avrebbe dovuto essere il terzo ingrediente. Avrebbe dovuto, perché sono state immediatamente soppiantate dalle Senàpe freschissime, rara presenza di cui approfittare. Questa verdura selvatica di cui parliamo anche qui, può essere sostituita, procedendo alla stessa maniera, dalle Cime di Rapa, perdendo in contrasti e guadagnando in normalità.
Appena a casa diamo una bella lavata a fondo ai frutti di mare, è vero che, almeno le Pelose dovremo aprirle a crudo ma nel farlo è facile inquinarle. La tecnica per l'apertura è identica a quella delle Cozze Nere, la trovate cliccando qui, del resto sono parenti prossimi, hanno solo una barba che non ne consente la cottura con valve.
Puliamo anche le Senàpe con lo stesso metodo delle Cime di Rapa, che trovate qui, oggi è la giornata dei parenti, Senape e Rape appartengono alla stessa famiglia ed hanno tipologie uguali, entrambe la parte più importante è una cima ma non vanno trascurate le foglie, danno sapore.
In questa ricetta useremo una nostra conserva estiva di pomodorini sani, il metodo lo trovate qui, possono essere sostituiti da preparazioni in vendita simili o da vari pomodorini di serra.
Appena tutto è pronto, anche le Orecchiette, sono state le prime e, come detto, si stanno asciugando, iniziamo la preparazione dell'intingolo in una capiente padella in alluminio, di quelle antiche senza antiaderente e mettiamo a bollire l'acqua per cuocere verdure e pasta.


Mesi ideali per questo piatto: Novembre, Dicembre, Gennaio, Febbraio, Marzo

Per il piatto in se, preparato a quattro commensali, occorrerà una ventina di minuti, la preparazione per arrivare a questo ha richiesto due buone orette, molto dipende dalla abitudine a fare certe cose, che possono però essere delegate ad addetti ai lavori come pescivendoli, fruttivendoli e pastai o, per chi ha la fortuna d'averli, parenti ed amici volenterosi e nullafacenti. Gli ingredienti necessari sono:


mezzo chilo circa di Cozze Pelose, una quindicina di Cannolicchi medi, un chilo circa di Senàpe, 
quattro etti di Semola di Grano Duro Senatore Cappelli Mangiare Matera, 
un pizzico di Sale fino, duecento grammi d'acqua "di sole",
dieci cucchiai di Olio Extra Vergine d'Oliva, tre spicchi medi di Aglio, 
quattro steli di Prezzemolo, due Peperoncini, una decina di Pomodorini,
quanto basta di Sale Grosso e Fino

L'intingolo, costituito da Olio, Aglio a fettine e soli gambi di Prezzemolo si scalda lentissimamente con il fornello a mo' di fiammella di candela, come nostro solito, soffriggiamo ma con dolcezza. Intanto le Cozze Pelose si sono fatte scolare tutte, quattro o cinque a parte ed in maniera più approfondita, tenendo da parte tutta la preziosa acqua.
Appena l'aglio accenna a colorirsi aggiungiamo le quattro o cinque Cozze Pelose particolarmente asciugate e passiamo ad un fornello normalmente vivace. Seguono queste operazioni con intervalli di pochi minuti: l'aggiunta dei Pomodorini e dei Peperoncini, privati dei semi, seguono qualche cucchiaio d'acqua di Cozze, togliamo i gambi di Prezzemolo, aggiungiamo le foglie della verdura, l'abbiamo sbollentate per prime nell'acqua, moderatamente salata, segue la restante acqua delle Cozze in cui le lasciamo cuocere abbondantemente, con i pomodorini rotti in cottura. 
Lasciamo cuocere a fiamma moderata. 
Quando ritorna la piena ebollizione dell'acqua buttiamo la pasta ed intanto che lentamente, tornando l'ebollizione, sale a galla, segno che s'avvicina il momento giusto per unirla alla salsa; a questa aggiungiamo innanzitutto Cannolicchi ancora chiusi e Cozze Pelose sgusciate, copriamo, i Cannolicchi, ci mettono un attimo ad aprirsi, segue la pasta e poi le Cime di Senàpe.
Segue una dolce amalgamante rimestata con attenzione e qualche salto, coprendo la padella nelle soste, che il vapore contribuisca alla cottura all'unisono con l'aiuto di qualche cucchiaio d'acqua della pasta, che ispessisca l'intingolo con il suo amido ed aggiunga profumo della verdura che vi è cotta. 
Assaggiamo, vediamo se è il caso di togliere i peperoncini, lasciati apposta sani, solo aperti, ci rendiamo conto se dovesse, ben difficilmente, occorrere del sale.
La fase finale, quando tutto è insieme, non deve durare che tre o quattro minuti. Vogliamo che i Frutti di Mare conservino la morbidezza e callosità e le Cime la croccantezza il sapore ed insieme profumo e colore, ad insaporire a sufficienza l'intingolo e quindi le Orecchiette sono bastate le loro acque.


Per l'impiattamento ci siamo conservati qualche valva di Cozza Pelosa, ben lavate testimonieranno la natura del frutto comunque ben presente nel piatto, per i Cannolicchi c'è poco da fare, all'apertura generalmente abbandonano i gusci.
Questo piatto può evidentemente essere rifatto con altre paste, anche secche, altre verdure, ci vediamo bene Cime di Rapa e Cavolfiori, altri frutti di mare come vongole, soli Cannolicchi o Cozze nere, anche se il loro miglior periodo non coincide con quello delle verdure adatte.

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4 dicembre 2013

Polenta con Noci e Gorgonzola

Mesi ideali per questo piatto: Tutto l'anno

Freddo = Polenta
Per noi è un assioma imprescindibile, da buoni terroni, pugliesi mezzi lucani e siciliani, per giunta, la Polenta l'abbiamo conosciuta seriamente e, quando dico seriamente, intendo proprio seriamente, con le vacanze in Val d'Aosta e latitudini simili, anche in Abruzzo, devo dire, si sono difesi bene.
In omaggio alle tante assaggiate da quelle parti, ne facciamo una noi con quel che c'è in casa.


Per due commensali di buon appetito pertanto sempre in lotta con la bilancia abbiamo utilizzato, oltre a tre quarti d'ora circa, questi semplici ingredienti:


un etto e mezzo di Polenta Bramata, un etto Gorgonzola, 
venti Noci circa, due cucchiai di Olio Extra Vergine d'Oliva, 
quanto basta di Sale grosso, fino e Pepe Nero

Dato che non siamo polentoni, non abbiamo il Paiolo in Rame, ci vorrebbe. Per quelle quattro o cinque
volte l'anno che facciamo la polenta, utilizziamo una buona pentola in acciaio con spesso fondo in Rame ed altro. Un lungo cucchiaio in legno bello robusto non manca in casa, lo utilizziamo anche per marmellate, pomodori, ecc . . . Abbiamo quindi tutto o quasi.
Mettiamo sul fuoco poco più di mezzo litro d'acqua e quando è ben calda buttiamo la polenta a pioggia e rimestiamo ben bene. L'acqua non deve essere affatto in ebollizione, nemmeno prossima, si formerebbero grumi. Lasciamo sul fuoco, rimestando ogni tanto, saliamo, tenendo conto di quanto salato sia il Gorgonzola a nostra disposizione.
Nel frattempo schiacciamo le noci, conserviamo qualche gheriglio che resta più sano per guarnire ed il resto lo pestiamo solo un po' nel mortaio. Intanto
scaldiamo appena in padella l'Olio ed aggiungiamo le noci pestate, riservandone un pugnetto per guarnire, pepiamo, saliamo e rimestiamo lasciando riscaldare ancora un pochino.
La polenta è cotta, aggiungiamo il gorgonzola dadolato, lasciandone due fettine per guarnire, rimestiamo fuori dal fuoco, aggiungendo anche le noci scaldate con il loro olio.
Impiattiamo, aggiungendo le fettine di gorgonzola, i gherigli di noce sani e sbriciolati, cercando di far qualcosa di simpatico.

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Calamarata "Vero Lucano" emigrante a Lugano

Mesi ideali per questo piatto: Ottobre, Novembre

Con la Calamarata "Vero Lucano" messaci a disposizione da Mangiare Matera per il suo Contest gestito da Teresa De Mari, attraverso il blog Scatti Golosi. La ricetta è stata pronta fuori tempo massimo pertanto non l'ho presentata al Contest.


L'abbiamo voluta dedicare ad un immaginario emigrante lucano d'ogni tempo, che torna in Svizzera, probabilmente a Lugano, dovrebbe essere una meta prediletta per assonanza e, quindi, probabile comune radice delle due denominazioni, varie e comuni le teorie, calzanti per entrambi, terra della luce o dei lupi.

Come al solito, nella valigia di cartone d'un tempo come nel modernissimo trolley da cervello in fuga
d'oggi, ha una scorta di viveri del paese, c'ha la salsiccia, c'ha la pasta di Grano Duro, c'ha l'Olio EVO, c'ha i Cardoncelli selvatici, c'ha pure l'Aglio e il Peperoncino del Paese, s'è scordato, non ci crederete, s'è scordato " 'u kes", ed allora? Cerchiamo un formaggio svizzero abbastanza duro da poter grattare con "a Grattakes", l'abbiamo individuato nell'eccellente, dobbiamo ammetterlo, Sbrinz, un formaggio vaccino a latte crudo e caglio naturale di vitello, con stagionatura di due anni, che ben si presta ad essere grattugiato. Somiglia moltissimo ad un buon Grana Padano o anche al più blasonato Parmigiano Reggiano. Non sarà Canestrato Pecorino, quello giusto per piatti simili, ma come si dice? bisogna fare di necessità virtù.
Per la pasta non ha problemi s'è portato anche la Calamarata "Vero Lucano", una pasta essiccata lentamente fino a quarantotto ore in celle statiche a bassa temperatura ed è fatta con semola di grani duri lucani di cui almeno la metà è il prezioso Senatore Cappelli, questa tra un po' se la potrà far arrivare anche acquistandola in rete.
La salsiccia, potrebbe anche tenerla appesa un pochino nella freschiera, il clima svizzero consentirebbe una buona conservazione, ma i Cardoncelli sono già puliti, deve affrettarsi a cucinarli. E' proprio costretto ad usare il formaggio svizzero.


In tre quarti d'ora circa è pronto in tavola per quattro persone un bel piatto unico sostanzioso e caloroso, occorrono naturalmente tutti gli ingredienti che sono:

tre etti e mezzo circa di Calamarata "Vero Lucano", un quarto circa di salsiccia di maiale,
mezzo chilo di funghi Cardoncelli selvatici già puliti, 
due cucchiai di Strutto o tre di Olio EVO, sette o otto cucchiai di Olio EVO, 
due spicchi di Aglio, tre rami sani di Prezzemolo, un bicchiere di Aglianico del Vulture, 
un Peperoncino, quanto basta di Sale grosso e fino per eventuali correzioni, 
un etto circa di Sbrinz


Poniamo a soffriggere dolcissimamente in tegame possibilmente in alluminio la salsiccia, la metà è
stata tolta dal budello e sgranata, questa, molto ben speziata con finocchietto e peperoncino, è però poco grassa, come, ormai, troppo spesso succede, per questo è necessario aggiungere strutto o olio evo, per quest'ultimo maggiore quantità, per la minore adeguata sapidità, comportando quindi un incremento di calorie, è il caso di meditare sul tutto e chiedersi se è sempre giusto richiedere prodotti magri. In effetti se avessimo avuto una salsiccia con la giusta quantità di grasso, non sarebbe stato necessario aggiungere olio o strutto, sarebbe bastato il grasso discioltosi della salsiccia, un grasso già insaporito dall'insaccamento, in definitiva nel totale ne sarebbe bastato meno. L'ideale sarebbe la Pezzente o Pezzentella.

Contemporaneamente soffriggiamo i funghi, li buttiamo in Olio EVO riscaldato piano piano, con gambi di Prezzemolo con poche foglie, Peperoncino e Aglio in un tegame possibilmente in alluminio, non è necessario che sia antiaderente, anzi.

Quando la salsiccia è ben rosolata, sfumiamo con il vino e quando questo scompare aggiungiamo i funghi trifolati e facciamo proseguire la cottura aggiungendo acqua della pasta ormai in cottura.

Questa pasta, essendo veramente di semola fatta da grani duri, ha bisogno di tempi lunghi di cottura, ne occorrono infatti circa diciotto, ne facciamo fare una decina in acqua salata ed il resto insieme alla salsa, aggiungendo acqua di cottura così che rimestando e saltando raggiungiamo una gustosissima cremosità.

A fine cottura aggiungiamo un filo d'Olio EVO crudo, una spolverata del gustosissimo Sbrinz e prezzemolo tritato ed impiattiamo.


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2 dicembre 2013

Cardoncelli Dorati e Fritti

Mesi ideali per questo piatto: Ottobre, Novembre


Scegliendo i Cardoncelli più grandi, come per altri funghi di simile costituzione e forma si possono dorare e friggere in Olio Extra Vergine d'Oliva caldo e profondo, la temperatura in caso di funghi o altro piuttosto spesso, non deve essere altissima, meglio abbassare leggermente la fiamma, dopo il primo minuto circa, per consentire, a frittura persistente, la penetrazione del calore fino al centro permettendone la cottura.
Avendo grandi quantità da friggere, facendo le classiche fritture miste all'italiana, si ricorre alla doppia frittura, una prima violenta  con olio ad alta temperatura ed una più dolce, in una seconda friggitrice, che cuocia fin dentro. La prima costituisce un involucro che impedisce l'impregnamento d'olio nella seconda.
Come ben sapete la Doratura e Frittura si fa con una pastella dove la parte fluida è l'uovo intero e la farina, solitamente, è 0 o 00. Quanta? quante uova? tante quante ne bastano ad ottenere una pastella dalla solita consistenza, simile a quella semplice d'acqua o birra e farina, l'importante che la pastella vesta con un velo persistente il fungo o qualsiasi altra cosa, che vi viene immersa, la si lasci un po' e rigirata e tolta facendolo scolare.
Dare delle dosi, in questi casi, non è facile, la regola può essere: eccediamo pure; avete mai mangiato le frittelle di Uovo e Farina? sono sfiziosissime, ecco questa è l'occasione di provarle, friggendo alla fine cucchiaiate di pastella in eccesso. Indicativamente diciamo di mettere tre cucchiai di farina ogni uovo, dipende però dai cucchiai, dalle dimensioni dell'uovo e dalla umidità della farina. Piuttosto potreste sbizzarrirvi aggiungendo ingredienti sensati come una mangiatina di Pecorino grattugiato, un pizzico di Pepe Nero, una tritatina di Prezzemolo, altro? pensiamoci.


Una raccomandazione, valida per tutte le fritture, non tamponatele con carta o peggio non poggiatevele sopra appena tolte dall'olio, le fritture hanno bisogno di evaporare umidità e scolare l'olio in eccesso, mettetele quindi in verticale su una griglia e salatele solo al momento di mangiarle altrimenti s'ammosciano, una delle caratteristica della gradevolezza delle fritture è la croccantezza, il sale è il suo nemico, per questo pochissimo sul fungo e nella pastella, proprio il minimo indispensabile.

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1 dicembre 2013

Lampascioni sott'Olio

Mesi ideali per questo piatto: Novembre, Dicembre, Gennaio, Febbraio


Ebbene si, parliamo dei Lampascioni, amari come la terra pugliese, gustosi come la compagnia dei pugliesi, che sanno anche coccolare chi e quel che a loro piace, proprio come fanno con i lampascioni rendendoli gustosissimi.
A noi piacciono croccanti, per questo, dopo il bagno in acqua di due o tre giorni, cambiandola due o tre volte, dipende dall'amaro che vogliamo conservare e dalle dimensioni, li tuffiamo semplicemente in acqua in ebollizione, acetata con ottimo Aceto di buon Vino bianco, metà e metà, abbondantemente salata, dovremo insaporire anche l'olio, ed in ebollizione. Li buttiamo dopo averli selezionati per dimensione, pochi per volta per far tornare subito l'ebollizione, contiamo massimo quatto o cinque minuti, se grossi, dalla ripartenza dell'ebollizione e solleviamo. In questa maniera cuocerà il duro esterno e resterà crudo e croccante l'interno, per una notte su canovacci ad asciugare, poi li mettiamo sott'Olio Extra Vergine e nuovo, che sia assolutamente dell'anno, altrimenti rischia d'esser vecchio prima che finisca, va sempre tenuto presente in ogni conserva.
Un'accortezza: nessun taglio sul fondo e una spuntatina molto modesta, per preservare il cuore, che facilmente s'ammorbidirebbe per azione dell'olio.
Nell'invasarli aggiungiamo: foglioline di Menta fresca, fettine di Aglio e Peperoncino piccante a pezzetti.
Li teniamo sotto sorveglianza per qualche giorno, assorbiranno parte dell'olio e sarà probabilmente necessario rabboccarne perché restino sempre ben coperti. Conservarli in luogo asciutto, fresco e buio. In questo modo e fatti bene, possono sicuramente superare l'anno.

Pen d Mater arruscet cu suffritt da stigliou du cunigl  con Peperoni Sott'Aceto e Lampascioni Sott'Olio

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