La dieta si fa contenendo le quantità non la qualità

22 ottobre 2013

Risotto con i Gobbioni - Risotto con i Ghiozzi

Mesi ideali per questo piatto: Tutto l'anno

Conoscete i Gobbioni? così si chiamano da noi quelli che per buona parte dell'Italia vengono detti Ghiozzi. Questa mattina li abbiamo trovati freschissimi, grossissimi e grassissimi dal pescivendolo, che sta sempre più diventando, di fiducia. Ha cominciato a trattare qualche cassetta di piccola pesca o di roba che i pescherecci prendono con le ultime calate il giorno del ritorno in porto. Possiamo quindi parlare di pesce a miglio 0 o quasi. Roba del genere, del resto, non si può che trovare in questa maniera.

Questi sono i Gobbioni, non sono quelli di questa mattina, non ho fatto in tempo a fotografarli, erano molto più grandi, quasi il doppio.
Da tempo avevamo voglia di farne un bel risotto, è il pesce ideale, essendone eccellente il brodo, che facciamo con la pastina, come un qualsiasi altro brodo, ne abbiamo parlato qui.
Sapevo che la patria di questo piatto, come di tanti altri risotti di mare, è il Veneto, che non conosco gran che, Venezia l'ho frequentata o ad alti livelli, quando sono stato ospite, pagando altri, al Danieli ed al Baglioni, ma questa fu l'altra vita, poi ci fu quella mia da turista sparagnino che segue il principio di distribuire il budget di spesa per più giorni possibili, interessandogli più il visitare posti, conoscere abitudini e mercati, che il conoscere i grandi ristoranti ed alberghi, è uno dei pochi casi in cui è preferibile la quantità alla qualità. E' leggenda che a Venezia si spenda molto e si mangi male ed allora la mia esperienza è stata di Bacari, sorta di bar con cucina, da noi si chiamerebbero Puteje, ormai sparite, lì sono molto in auge, vi si può mangiare il piatto caldo, ma anche i "cicheti", sorte di tapas veneziane, infondo tutto il mondo è paese, ed allora polpette, sarde in saor, baccalà mantecato, ecc . . . Risotto con i Go, come lo chiamano lì, mai trovato, purtroppo.

 

Allora? ricerca in rete e su qualche libro, chi la dice cotta, chi la dice cruda, alcune cose che non c'hanno convinto per niente, del tipo: mantecare con il Grana e/o con burro e/o vino e/o . . . , pur trattandosi di pesce. Ci ha sempre lasciati molto perplessi e, quel che più conta, delusi, l'abbinamento di formaggio da grattugia e pesce in genere, poi delicati come questi, ancor di più.
Allora? chi fa da se fa per tre e se sbaglia sa con chi . . . prendersela.
Il brodo di gobbioni è una favola, meglio di quello di giuggiole, . . . qualche risotto insieme più o meno lo abbiamo già messo . . . qualche esperienza ce la siamo fatta . . . proviamoci ad "inventare" qualcosa.


Per preparare questo Risottino di Gobbioni alla Rita & Mimmo per Rita e Mimmo, c'abbiamo messo, a parte il tempo della cottura del brodo (due buone orette) una quarantina di minuti o poco più e ci son serviti questi ingredienti:


un limone non trattato, tre spicchi d'aglio, un peperoncino, sei o sette cucchiai di Olio Evo, 
un ciuffetto di Prezzemolo, quattro tazze da caffè circa di Riso Vialone Nano, 
mezzo bicchiere scarso di Vino Bianco Secco, una carota, due pomodorini, 
quanto basta di Sale grosso e fino e Pepe Nero appena pestato al mortaio
e circa mezzo chilo di splendidi Gobbioni freschissimi e grassissimi


Le due prime operazioni sono state, oltre alla pulizia del pesce, fatta senza rovinarlo, tagliando a destra e a manca, e senza lavarlo troppo, sola eviscerazione e sciacquatina in acqua salata molto fredda; il segreto è agire con delicatezza senza far rompere le interiora, che venendo via sane sane lasciano il ventre pulito ed occorre solo un minimo d'acqua, più per scrupolo che per altro. Sconsigliamo sempre di tagliare code, ali, teste, ecc . . . l'abbiamo visto fare a tali e tanti anche qualificati e nominati, ora specialmente che la cucina impazza in TV, l'unico effetto che s'ottiene è buttar via roba ottima a dar sapore, basta guardare le guanciotte di questi per capire, così facendo si rende più facile lo spappolamento e si finisce per rinunciare a due eccellenti segnalatori di cottura, per cui non serve termometro, da riservare ad usi più importanti, l'occhio che sbianca e l'aletta che s'alza a cottura giunta al punto giusto.
Dopo sto pistolotto riprendiamo da: Le due prime operazioni . . . la prima, mettere a bollire due litri circa d'acqua per un brodo vegetale di carota, prezzemolo, pomodori ed aglio, la seconda, scaldare molto, molto moderatamente quattro cucchiai d'olio, veramente e seriamente Extra Vergine di Oliva con un grosso spicchio d'aglio tagliato a metà, un peperoncino, privato dei semi, un ciuffetto di prezzemolo tritato e la buccia grattugiata di un piccolo limone non del tutto maturo e non trattato, almeno per tale ce l'hanno venduto. Il brodo potrebbe sembrare tanto per un risotto di due persone, il fatto è che lo faremo in una amplia padella con conseguente molta evapozazione, poi è sempre meglio abbondare ma con giudizio per non disperdere i sapori.
Quando, dopo circa un'ora e mezza, il profumo del brodo ha avvisato d'esser pronto, vi abbiamo
calato, servendoci di un colino metallico dal lungo manico, il pesce, che abbiamo sollevato appena alzata l'ala e l'occhio ha messo in mostra la pallina bianca, la carne sarà ancora consistente ed il colino ci mette al sicuro da pericolosissime spine vaganti.
Nel frattempo s'è iniziato a scaldare l'olio per la tostatura del riso, tre cucchiai d'olio possono bastare con dentro uno spicchio d'aglio schiacciato e qualche ramo di prezzemolo, più steli che foglie, queste, tritate, erano già andate per una metà nel primo olio preparato, per il resto andranno a guarnire il piatto finale. Come si vede nella foto accanto, dove in primo piano c'è il brodo vegetale in cottura, si noti il colino metallico ed il brodo colorato e grasso dei gobbioni, che già vi hanno bollito, in secondo piano c'è la padella messa sbilenca per consentire al pochissimo olio di bagnare l'abbondante prezzemolo ed il
giusto aglio, la fiamma dell'olio è appena percettibile, dovendo scaldare pian piano, friggendo appena.
Nel frattempo spiniamo il pesce con estrema accortezza, senza dimenticare le deliziose guanciotte, che lasciamo a parte.
A questo punto tutto è pronto non resta che scolare il brodo, lasciando le verdure nel colino con l'aggiunta anche degli scarti del pesce, che, lasciando il colino immerso nel brodo, aiutiamo a disfarsi, premendoli con un cucchiaio, lo manterremo ovviamente sempre in ebollizione, alziamo la fiamma sotto l'olio, quando è ben caldo versiamo il riso e rigirandolo lo facciamo tostare, il suono c'avvertirà che è pronto ad essere sfumato con il vino. Quando questo sparisce completamente, versiamo circa un terzo del brodo disponibile, lasciato ad una dolce ebollizione, rimestiamo profondamente con cucchiaio di legno, ripuliamo dall'aglio e prezzemolo ed inseriamo circa la metà della polpa del pesce, saliamo e pepiamo. Lasciamo cuocere, dando qualche rimestatina a otto, badando particolarmente al centro. Dal momento che si sarà del tutto prosciugato il brodo, cominceremo il vero lavoro del risotto, un mestolo di brodo, una quasi continua rimestata, che sprigioni ed amalgami l'amido, a brodo prosciugato un altro mestolo di brodo, che il successivo non veda il precedente, come diciamo sempre, e via a rimestare, questo quasi di continuo fino alla cottura desiderata. Qualche minuto prima di spegnere aggiungiamo il resto del pesce sminuzzato. E' ora il momento di saggiare come sta di sale e piccantezza, si può ancora intervenire.
Quando la cottura è al dente ed il risotto è all'onda fluida, spegniamo ed aggiungiamo l'olio aromatizzato, liberato dell'aglio e del peperoncino, rimestiamo per mantecare e lucidare. Impiattiamo dopo il riposo di qualche minuto, distribuendo le guanciotte e spandendo di prezzemolo tritatissimo.


Il risultato della "invenzione" non è stato buono ma eccellente, torneremo a farlo appena troveremo altri gobbioni.

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Brodo di Giuggiole

Mesi ideali per questo piatto: Settembre, Ottobre

Le Giuggiole, per i ragazzi di città di una volta, anni '50 o '60, forse anche qualche decennio prima, erano delle gelatine a forma, grosso modo, di una fragolina piccina, piccina, verde per richiamare il gusto che era all'incirca di menta ed eucalipto, cosparse di zucchero perché non s'appiccicassero le une alle altre. Il venditore, solitamente l'uomo della "barracca", effettivamente delle baracche in legno, chioschi, che punteggiavano le nostre passeggiate cittadine, vendeva mentine, piccoli pupazzetti o stecche o girandole di liquirizia, caramelle, cose gommose a forma di fragola con dentro la schiuma dolce, cioccolatini piccolissimi di puro surrogato e latte rancido, biscotti secchi in pacchetti piccoli piccoli, formaggini, detti così perché ne avevano la forma triangolare, ma di cioccolata con nocciole, un gianduiotto grossolano, molto grossolano, anche questo di vile surrogato, i Golosini, ve li ricordate i Golosini?, vendevano anche giocattolini di celluloide, l'antica plastica, antecedente il Moplen, ecc . . . , dicevano che fosse fatta d'ossi, tutto sfuso ed a poche lire, solitamente le cose più piccole ad un pezzo per una lira. Le barracche in estate aggiungevano alla loro mercanzia il Gratta-gratta, ghiaccio grattato da un blocco a forma di parallelepipede quadro, che servivano in un cartoccio di cialda, di colla e crusca, che si scioglieva tra le mani insieme al ghiaccio, lo "insaporivano" con acque molto colorate, "i liquori" con lontanissimi sapori di alchermes il rosso, strega il giallo, menta il verde, orzata il bianco. Se queste baracche, dette anche "bancarelle" erano in zona di passeggio di bambini accompagnati da genitori benestanti, vendevano anche i palloncini colorati e volanti, che, regolarmente, tenendo fede alla loro vacuità, dopo pochi passi o volavano o scoppiavano.
La sensibilità del nostro palato è anche frutto dell'anelato piacere di ciucciare tutta questa roba, compresa celluloide e palloncini, gli avrà fatto bene? Fatto innegabile è che siamo il risultato.
Per i ragazzi di campagna le giuggiole erano tutt'altra cosa, un delizioso frutto autunnale; era un gustosissimo companatico, spesso un premio. Un frutto che più secca e più migliora, poi chi non ha mai detto "vado in brodo di giuggiole", generalmente non sapendo neanche di cosa stesse parlando.


Vediamo com'è questo Brodo di Giuggiole
In realtà non è un brodo ma uno sciroppo, fatto "anche" con le Giuggiole oltre ad altre frutte di stagione come uva, anche passita, mele o cotogne, ecc . . .

La ricetta quasi precisa che noi abbiamo fatto è questa: 

Uguale quantità di Giuggiole, zucchero semolato, acqua, Vino Rosso, 
una mela cotogna, mezzo limone, un grappolo di uva baresana

Innanzitutto le Giuggiole si devono lasciar raggrinzire, lasciandole all'aria in un cestino ben ventilato per qualche giorno quindi fargli un taglio verticale e porle a bollire in pentola con acqua e zucchero semolato in uguale quantità del loro peso. Dal momento che inizia l'ebollizione contare un'ora e mezza di cottura almeno, a pentola scoperta e fiamma bassa, l'importante che l'ebollizione sia costante. Mentre è in corso l'ebollizione aggiungere un pochino per volta, la grossa mela cotogna sbucciata e dadolata, la buccia del limone e gli acini di uva denocciolati, la nostra uva quest'anno era baresana, essendo quasi l'unica disponibile ed essendo ormai molto dolce. Le frutte aggiunte sono state in questa misura dato che le giuggiole erano circa tre quarti, nulla vieta di variare, orientando diversamente ma di poco il gusto finale.
Quando dopo una abbondante oretta di ebollizione il composto si sarà abbastanza addensato, cominciare ad aggiungere gradatamente, senza far interrompere l'ebollizione, una uguale quantità di Vino Rosso, avevamo del buon Rosso di Troia a disposizione e l'abbiamo usato, sarebbe andato benissimo certamente, anche meglio, un Primitivo dolce, forse in quantità leggermente inferiore. Alla fine della totale cottura di una ora e mezza dovrebbe essere del tutto evaporato l'alcool del vino e rimasta solo la sua parte dolce e profumata di un Vincotto, se l'alcool fosse ancora avvertito all'olfatto, sarebbe bene proseguire la cottura per qualche altro minuto.


Abbiamo scolato lungamente il composto ottenendo quasi mezzo litro di sciroppo dalla nostra quantità di giuggiole.
Con una buona dose di pazienza si è provveduto a snocciolare le giuggiole, operazione facilitata dal
Dolcetti ripieni di Confettura di Giuggiole
taglio iniziale e dal loro rigonfiamento a contatto dei liquidi in cottura. Tutta la parte solida rimasta dalla colatura, è stata passata al passaverdure medio, ottenendo una specie di confettura grossolana ma molto piacevole, utilizzata come qualsiasi altra confettura o marmellata.
Lo sciroppo ottenuto è molto gustoso e profumato, l'abbiamo utilizzato per intingere vari biscotti e simili, come Pettole e Churros. Lo scorso inverno è tornato utile dandoci occasione d'apprezzarne anche le caratteristiche emollienti in una brutta bronchite.
Quest'anno s'è iniziato un esperimento che ci dirà pienamente quanto e se riuscito tra almeno un annetto. Abbiamo aggiunto allo sciroppo la quantità di un terzo circa in volume di Alcool puro, essendo sufficientemente ben riuscito un assaggio, miscelato ad occhio, con Aquardiente spagnola super alcolica. Dovremmo ottenere uno sciroppo liquoroso o un liquore sciropposo con una gradazione alcolica di 30° circa, gradevole, avendo anche aggiunto a quei duecento cc circa di sciroppo, due cucchiai di caramello, fatto con normale zucchero e spinto nella cottura ad un anormale scurimento, che ne attenuasse il dolce stucchevole con il suo sentore di bruciato.
L'annetto è passato, l'esperimento è perfettamente riuscito tranne nella consistenza, eccessivamente sciropposa, andrebbe lasciato più fluido o andrebbe aggiunto più alcool? la seconda? non sempre però liquori molto dolci sono gradevoli se eccessivamente alcolici, l'esperimento deve continuare per affinare il risultato già gradevole, comunque.

16 ottobre 2013

Quando la cucina ispira i grandi poeti

Il ben noto poeta pugliese, Mimmo Martinucci, pugliese per nascita ma non per fama, questa va ben oltre i confini nazionali, è stato ispirato per questi versi da una nostra foto a sua volta ispirataci da un abbinamento di stagione: Brasciole e Polpette di Cavallo con contorno di Olive Termite di Bitetto fritte, il tutto affiancato magistralmente dal Pane di Altamura.


Nel girone dei golosi

Con arte sopraffina il Modarelli
ci fa sentir profumi e poi c’invoglia
ad assaggiare i piatti che, ai fornelli
insieme alla consorte, son di Puglia 
le vere tradizioni antiche e buone.

Per oggi il Modarelli ci propone
un piatto al sugo rosso di polpette:
son profumate e son di carne equina
che poi ordinatamente lui dispone
insieme al pane d’Altamura a fette.

Il Mimmo cuoco non si ferma affatto
e un piatto accosta poi di olive fritte
raccolte su degli alberi a Bitetto.
Se mangio tutto poi l’epa mi duole,
in specie se mi sbafo le braciole.

Al Modarelli sono certo intanto
che nel girone dei golosi è il posto:
lì lo faranno cuoco e, di nascosto,
delle ricette menerà suo vanto
e solo a pochi diavoli, ai più buoni,
cucinerà fagioli e lampascioni.

Ma, Modarelli, cuoco sopraffino,
perché sul desco non ci hai messo il vino ?

11 ottobre 2013

Orecchiette e Cime di Rapa - Chiancarelle e Cime di Rapa

Mesi ideali per questo piatto: Novembre, Dicembre, Gennaio, Febbraio, Marzo

Alla vigilia del loro arrivo sulle nostre tavole abbiamo la presunzione di voler dire la nostra sul piatto nazionale della Nazione Puglia: Orecchiette e Cime di Rapa.
Innanzitutto sfatiamo un luogo comune, noi, dato che il piatto ci piace molto e si presta a molteplici variazioni sul tema, ne facciamo numerose versioni, non sempre e solo di Orecchiette, usiamo spesso altre paste, fresche e non, e, fermo restando le Cime di Rapa, le condiamo variamente nella tradizione e non.





Ma le Orecchiette e Cime di Rapa sono solo quelle fatte con le Orecchiette dalla forma e composizione ben precisa, fresche, fatte in giornata, e Cime di Rape, Cime e non foglie con rami e bitorzoli, devono essere condite con solo Olio Vergine d'Oliva soffritto con Aglio, Peperoncino, Acciughe salate e . . . basta! Sono consentite solo minime, sia pur numerose, variazioni ma solo se tradizionali e veramente tali. Quando si possono considerare tali? quando sono consolidate da decenni e decenni, quanti? più sono meglio è, di utilizzo in zone geografiche ben precise all'interno della Regione Puglia con un minimo allargamento al Materano. E' bene però che queste "variazioni" siano indicate, sottolineando, in tal modo il loro discostarsi dall'ortodossia.
Alcuni esempi: Strascinati e/con le Cime di Rapa, Bucce di Mandorla (Scorz d'Amennl) e/con le Cime di Rapa, Pasta (intendendo paste diverse dalle orecchiette) e/con le Cime di Rapa, Bucatini e/con . . . , Spaghetti e/con . . . , Orecchiette e Cime di Rapa con Mollica di Pane, Orecchiette e Cime di Rapa con Pomodorini, ecc . . .

Passiamo ora ad illustrare e definire i componenti suddetti.
  Orecchiette: Pasta Fresca ottenuta con sola Semola Rimacinata e non di Grano Duro di eccellente qualità, con aggiunta di sola Acqua e Sale. Sono perfettamente ammesse piccole variazioni con semole più o meno integrali o minime presenze di farine di grano o di altre graminacee come l'orzo, molto in uso nel Salento, pensiamo di poter considerare perfettamente accettato l'uso di farina di Grano Arso, divenuta o, meglio, ritornata ad essere ormai una precipua peculiarità pugliese, è sempre bene comunque nel titolo precisare.
Orecchiette di Semola Rimacinata
Orecchiette Integrali
Orecchiette di Grano Arso



Bucce di Mandorle
Strascinati di Farina di Misckiglio
Cliccando sulle didascalie delle foto andrete alle spiegazioni per fare le varie paste.

  Cime di Rapa: Brassica Rapa Sylvestris Esculenta, chiaro? per niente.  
Cima di Rapa a sx, Cima di Senape a dx

Cima di Rapa (dette di Fasano) a sx, Broccolo a dx
Come si vede alla sinistra delle foto, le Cime di Rapa hanno anche aspetti diversi, confondibili con altre Brassiche, tutte fornite di infiorescenze in bocciolo, in effetti la vera cima, la parte che particolarmente ci interessa, che non devono fiorire. La raccolta va effettuata quando la cima c'è ed è ben formata ma prima che il fiore spunti. I vari tipi, ce ne sono ancora altri, oltre a quelli delle foto, hanno anche diversi periodi di maturazione così da coprire tutto l'arco che va dall'autunno inoltrato fino alla fine dell'inverno, massimo all'inizio della primavera purché le temperature si mantengano piuttosto basse. In sostanza è un prodotto invernale, gli intenditori non le iniziano a mangiare se non è cominciato il vero freddo. Oggi, come un po' tutto ciò che ha più successo, si trovano tutto l'anno ma sono o prodotto conservato o frutto di coltivazioni in serre dove le condizioni climatiche necessarie si vanno a creare artificialmente. Abbiamo inserito anche un post specifico dove spieghiamo come è meglio pulirle, cliccate qui.

  Aglio: data la stagione non può che essere secco, oltre che naturalmente di buona qualità, deve sapere d'aglio non deve averne solo la puzza, anzi, deve profumare d'Aglio, sarebbe preferibile se fosse rosso e piccolo, generalmente è una maggiore garanzia che si tratti di aglio italiano.

  Acciughe o Alici sotto sale: Cosa dire? Alici di buona qualità, salate da freschissime e curate nel periodo estivo. Non sott'olio, mi direte che è la stessa cosa, quelle sott'olio erano salate, appunto erano, nell'olio perdono in sapidità. Se proprio, in stagione inoltrata, si è costretti, capita anche a noi, di dover passare le alici salate sott'olio, pena l'eccessiva macerazione delle stesse, usiamo per la preparazione del piatto un cucchiaio o due di quest'olio, riappropriandoci così del sapore disperso. Per lo stesso motivo quando si prendono da sotto il sale non si devono lavare, si battono, facendone cadere l'eccesso, quindi si spinano, si spezzano e si utilizzano. Non occorre fare altro, meno si manipolano meglio è. Noi ce le facciamo in casa ed il semplicissimo procedimento lo trovate qui.
  Peperoncino: non può che essere secco, in inverno nelle nostre campagne non ci sono peperoncini freschi. Si acquistano in estate, si appendono all'aria, che li secca, e si usano per tutto l'inverno, come per l'Aglio ogni anno ne facciamo provvista. Il tipo da usare è uno piccante con giudizio, vogliamo sentire anche gli altri gusti, vero? Per questo, solitamente, li apriamo e togliamo i semi, la parte più ricca si capsaicina, la responsabile della piccantezza. Per lo stesso motivo non usiamo, se non raramente, in questo piatto peperoncino macinato o addirittura in polvere.
  
  Olio: Semplicemente e solamente Olio Extra Vergine di Olive Pugliesi. Sono tanti, dai leggeri e poco piccanti garganici e della Murgia, ai sapidi e piccanti, quelli che si sentono, del Salento, meno quelli del tarantino, di più quelli del brindisino e leccese. Trovate il vostro ideale.

  Passiamo alla preparazione vera e propria per i classici quattro commensali di buon appetito, richiederà, con orecchiette pronte, meno di una oretta, compresa la pulizia della verdura, altrimenti non più di due.

Facciamo le Orecchiette o le acquistiamo; come detto, che siano fresche, le secche sono solo paste a  
forma d'orecchietta, i pastai non me ne vogliano, anche loro sanno che è così. Le istruzioni per farle le trovate qui.
Il tipo di ruvidezza che si nota nella foto, superiore ancor più all'interno, la può dare solo un gesto sapiente e le attrezzature tradizionali.
                                                           
Acquistiamo le Cime di Rapa il giorno stesso della preparazione, come tutte le verdure, degradano molto rapidamente la loro qualità, ogni ora che le separa dal momento della raccolta è prezioso.
Scegliamo le migliori, quelle che hanno cime ben grandi, verdi e senza assolutamente fiori, foglie fresche ed integre, senza nessuna presenza di ingiallimento ed il taglio del bitorzolo piuttosto fresco ed umido. La quantità deve essere di almeno un quarto per commensale, di più anche il doppio se le cime sono piuttosto piccole. Pulirle e lavarle ben bene secondo il sistema che trovate qui.
Il metodo di pulizia è fondamentale per utilizzare il prodotto al meglio ed avere il risultato ricercato. Sono simili tra le verdure ma alcuni gesti sono specifici e fondamentali.
Per ogni commensale approntiamo almeno due o tre cucchiai a testa di Olio Extra Vergine d'Oliva
possibilmente tipico pugliese, quello che si "sente" al palato, una o due Alici Salate, secondo grandezza, mezzo Spicchio d'Aglio e mezzo Peperoncino. In verità per questi ultimi due bisogna tener conto delle variazioni sul tema, prima di tutto: sani o tritati? E' evidente che la cosa cambia, innanzitutto perché tritati si sentono di più e perché diventa più difficile intervenire in corso d'opera, adeguandone, per pezzature grandi, la durata della presenza, si possono infatti sempre e facilmente togliere. Occorre anche un quanto può bastare di Sale Grosso e Fino per eventuali correzioni, va solo nell'acqua, in quanto la salsa, per la presenza delle alici, non richiede sale.

Per evitare qualsiasi fraintendimento vi illustreremo come questo piatto veniva e viene ancora fatto tradizionalmente e poi come facciamo noi attualmente, con qualche variazione possibile, plausibile e praticabile, sempre secondo il nostro modestissimo parere, aperto a tutte le critiche, spiegazioni ed anche, perché no? plausi ed assensi.

Metodo Tradizionale (dando per scontato l'uso delle Orecchiette Fresche)
  1. Mettere a bollire una abbondante pentola d'acqua, salarla all'ebollizione, ed aggiungere le Cime di Rapa, possibilmente, non tutti lo fanno, prima un poco di foglie, comunque tenere e giovani, e dopo qualche minuto le cime, avendo tempi di cottura diversi;
  2. Quando si buttano le verdure, si mette a scaldare l'olio con dentro l'aglio tritato grossolanamente e il peperoncino spezzato in due o tre pezzi, quando l'aglio è ben colorato aggiungere le acciughe spezzate in due o tre pezzi, alcuni le mettono sane, semplicemente battute e, raramente, nemmeno diliscate;
  3. Intanto la verdura è giunta a mezza cottura e l'acqua e tornata ad una giusta ebollizione, si butta la pasta, che sarà pronta dopo due o tre minuti, che è salita a galla;
  4. Si scola con un normale scolapasta, sbattendo il meno possibile, si versa in una coppa o zuppiera;
  5. Sulla pasta e verdura si versa l'olio fumante, se ne deve sentire il caratteristico sfrigolio, quello che in alcuni posti si chiama con nome onomatopeico "u zzifft" o "u ccifft", si rimesta e si impiatta.
Pregi: Tradizione, genuinità, rapidità, praticità.
Difetti: Con la cottura contemporanea e la conseguente scolatura con sbattitura per eliminare il più possibile d'acqua, s'assiste alla perdita della parte migliore, i boccioli delle Cime di Rapa, essendo più teneri si scuociono facilmente e si perdono con l'acqua che cola, inoltre, condendo contemporaneamente, si è costretti ad abbondare eccessivamente in olio ed altro, con la tritatura grossolana dell'aglio e del peperoncino si rende difficile il recupero e diventa facile la loro sicuramente, non del tutto gradevole, masticazione.



Metodo Innovativo (nostro ma, ultimamente, notevolmente condiviso)
  1. Mettiamo a scaldare a fiamma bassissima, quella che si suol definire, fiammella di candela, uno Spicchio d'Aglio, tritatissimo, grattugiato direi, ed un altro sano, se piccoli due, ed un Peperoncino aperto e privato dei semi, in sei cucchiai d'olio, data la quantità esigua, usiamo un padellino molto piccolo o, se possibile, il padellone inclinato, facciamo in sostanza più una infusione che un soffritto.
  2. Contemporaneamente mettiamo a bollire l'acqua per le Cime di Rapa e le Orecchiette; non molta, il minimo indispensabile, concentriamo così il sapore delle verdure. Le Cime di Rapa, pulendole, le abbiamo selezionate in tre recipienti diversi, in uno le foglie sfilate, avrete notato dal metodo di pulizia che non ci sono le nervature delle foglie ma solo la parte più tenera, in un secondo recipiente ci sono le cime più grandi, il cui gambo, sempre dal metodo illustrato, è stato inciso a croce, il terzo recipiente conterrà le cimette più piccole e delicate.
  3. All'ebollizione saliamo e buttiamo le foglie, rimestiamo, onde evitare che s'ammassino in una unica palla, aspettiamo che torni il bollore per aggiungere le cime più grandi.
  4. Nel frattempo l'olio si sarà insaporito e l'aglio si sarà sia pur moderatamente dorato, togliamo dal fuoco, se troppo caldo, ed aggiungiamo le acciughe, due filetti a testa, rimettiamo sul fuoco e rimestando ne favoriamo il quasi scioglimento.
  5.  Nell'intingolo, passato nella normale padella, se si è usato il padellino, ed a fiamma alzata aggiungiamo le foglie e le prime cime, prelevate con un ragno dalla pentola in ebollizione, lasciando che sfrigolino nell'olio ormai ben caldo, rimestiamo delicatamente e saltiamo per permettere all'intingolo d'amalgamarsi bene al tutto.
  6. Nell'acqua, ben saporita e profumata dalle rape, cotte in precedenza, tornata all'ebollizione buttiamo le orecchiette, le nostre sono sempre finite di fare al massimo da una mezz'oretta, seguono le cimette, rimestiamo, aspettiamo solo che la pasta torni a galla, ancora con il ragno e grondante d'acqua preleviamo tutto e passiamo nel padellone da cui abbiamo tolto gli spicchi d'aglio sani; 
  7. Rimestando delicatamente e saltando qualche volta, portiamo a cottura, saggiamo salinità e piccantezza, effettuiamo eventuali correzioni con sale fino e Olio Santo.
  8. A fiamma spenta amalgamiamo aggiungendo un filo d'Olio Extra Vergine d'Oliva di superlativa qualità;
  9. Impiattiamo, generalmente in piatti singoli, ed irroriamo ancora e generosamente del solito Olio Extra Vergine d'Oliva.



Questo è tutto o quasi, accenniamo soltanto a due varianti abbastanza praticate e quindi accettate. La prima consiste nell'aggiunta all'olio di qualche pomodoro che, naturalmente non può che essere un pomodoro, generalmente Regina, appeso in estate per l'inverno.

La seconda variazione a cui vogliamo accennare è quella con aggiunta di Mollica di Pane Asciugata, quella che ormai viene chiamata "il Formaggio dei Poveri", le spiegazioni per la sua preparazione le trovate qui, consiste semplicemente nell'aggiunta di mollica alla pasta impiattata.


7 ottobre 2013

Trippa in insalata e Lesso di Trippa

Per qualsiasi preparazione la trippa, un tempo, quando la si acquistava sporca e cruda, dopo una pulizia lunga e laboriosa, andava bollita, dopo la bollitura si ripassava in salse varie per le altre preparazioni.
Per fare l'Insalata di Trippa la si bolliva un po' più a lungo in quanto alla fine era pronta per essere variamente condita. Oggi per legge la si trova quasi del tutto cotta pertanto c'è poca possibilità di insaporirla. I risultati sono pertanto relativi per tutte le preparazioni, questa in particolare, malgrado tutto non ci voglio rinunciare.


Si procede come per un normale bollito.
Si mette sul fuoco quello che definirei un brodo vegetale, con una quantità molto contenuta d'acqua, il minimo indispensabile, in quanto non vogliamo disperdere troppo quel poco di sapore rimasto nella trippa. Nell'acqua avremo messo a freddo una grossa cipolla, due o tre carote, due coste di sedano, degli steli di prezzemolo, quelli che avanzano dalle foglie della eventuale salsa verde, che andremo a preparare, quattro o cinque pomodori maturi, il brodo deve essere ben colorato, ed alcune patate, queste perché ci torneranno utili per l'insalata, saliamo e lasciamo cuocere per una buona oretta, in effetti più sta meglio è. Teniamo solo d'occhio le patate, sono l'unica cosa che ci interessi per poi, le alziamo appena cotte.
Quando giudicheremo il brodo sufficientemente saporito aggiungeremo la trippa in un unico pezzo, così da mantenere al suo interno il sapore. Tornata a bollire ne controlleremo il punto di cottura infilzandola con una forchetta, sarà al punto giusto quando, infilzata, farà ancora resistenza ma non troppa all'estrazione dei rebbi, un pochino come per il polpo.


Mesi ideali per questo piatto: Tutto l'Anno

L'assoluta mancanza di grassi nella trippa la lascerà, se pur raffreddata, comunque gradevole, e tagliata a striscioline, se ne fa una insalata mista. Dalla foto si capisce tutto, è, come tutte le insalate, qualcosa che libera la fantasia, ci sta bene di tutto ma con giudizio. Un po' quello che si farebbe con una insalata di qualsiasi altro lesso e nervetti. Ci stanno bene olive, sottaceti, sott'oli, ecc . . . quello che non può e non deve mancare è un generoso filo d'olio di quello giusto.

Questa è evidentemente una preparazione estiva ma con altri ingredienti se ne può tranquillamente fare una versione invernale, una multicolorata giardiniera può proprio fare al caso nostro. Le stesse verdure del brodo, se le lasciamo ben sode e croccanti, condite con olio ed aceto possono diventare un'ottima giardiniera anche calda se vogliamo un'insalata calda. Le versioni sono tante a voi inventarne di nuove. Può essere un gradevolissimo esercizio.
Un consiglio, abbastanza ovvio, dovendo lasciare le verdure cotte al punto giusto, per aumentare la sapidità del brodo, ne dovremo semplicemente aumentare le quantità.

Per l'inverno consiglio di fare anche, preferendo cose calde, qualcosa di simile al celeberrimo Lampredotto Fiorentino, talmente buono da essere gradito anche in estate.
Il Lampredotto è, in dialetto fiorentino, oddio "dialetto" e "fiorentino" messi insieme, gli utilizzatori non l'ammettono ma tal è, a mio modesto parere, dicevo il Lampredotto è una delle quattro parti dello stomaco dei ruminanti, in italiano, quello parlato dagli altri sessanta milioni circa, è l'Abomaso. Questa parte della trippa noi non l'abbiamo mai trovata nelle nostre macelleria, evidentemente la mandano tutta a Firenze, che ne dite? Allora facciamo, come spesso c'accade, di necessità virtù, c'accontentiamo delle altre parti ma le trattiamo come se fosse il "nobile" Lampredotto.

L'Abomaso è quella parte che nei cuccioli lattanti dei ruminanti contiene il caglio indispensabile per la digestione del latte. Per questa sua capacità viene, macellati i vitelli, i capretti o gli agnelli, utilizzato per fare i formaggi, quelli buoni ma buoni veramente, come una volta. Questo con grande scorno e sconforto per vegetariani e animalisti, che l'ignorano in parecchi. Non avendo nessuna idea di come si faccia il formaggio, rimangono solitamente esterrefatti e sbigottiti, ne sono, a giusta ragione, generalmente grossi consumatori, come valido sostituto della carne, in esso trovano quelle sostanze di natura animale, compreso il prezioso ed indispensabile, a torto vitupeso e demonizzato, colesterolo, di cui la loro dieta non può che essere pericolosamente carente.

Questa volta per il, chiamiamolo così, simil-lampredotto la trippa la dobbiamo tagliare ben calda, ne farciamo un panino, le cui metà, almeno una, sono state intinte nel brodo, altrettanto bollente, quindi condita con Salsa Verde, possibilmente fatta in casa bella fresca, e/o olio, sale e peperoncino; noi in questi casi tiriamo fuori il nostro Olio Santo quello verde ma non è detto, anche quello rosso ci sta benissimo, come anche una africana Harissa. Se non si è nel contesto da panino, la stessa cosa si può fare in un piatto, non è necessario che ve lo dica.

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1 ottobre 2013

Strascinati di Misckiglia con Seppia ripiena di Melanzana Rossa

Mesi ideali per questo piatto: Luglio, Agosto, Settembre

Strascinati di Misckiglia con salsa di Seppia Ripiena di Melanzana Rossa di Rotonda

Giretto in Lucania















Questa ricetta è estrapolata dal Piatto Unico Giretto in Lucania, unicamente per chiarezza, chi volesse realizzare solo una frazione del tutto si potrebbe trovare in difficoltà e desistere, veniamogli incontro.

Oltre ad almeno tre orette, per questo piatto, preparato per quattro commensali di buon appetito, occorrono i seguenti ingredienti:

tre etti e mezzo di Farina di Misckiglia, quanto basta d'acqua, un pizzico di sale fino,
due Seppie per un totale di sei etti almeno, due Melanzane Rosse di Rotonda medie, qualche pomodoro maturo, un mezzo bicchiere di Olio EVO,
due o tre fettone di Pane di Matera DOP, una buona bottiglia di salsa di pomodoro, 
un ciuffo di basilico, un ciuffo di prezzemolo, due cucchiai di Canestrato Pugliese o Lucano,
due uova, due spicchi di Aglio, uno o due Peperoncini, quanto basta di Sale fino e grosso, 
quanto basta di Pepe nero macinato al momento 

Tre ore per i ritmi moderni potrebbero sembrare tanti ma, considerato che sono compresi i tempi per fare la pasta fresca ed alla fine abbiamo il classico Primo e Secondo dei tipici pranzi all'italiana, non mi sembrano neanche tanti. Questa pasta vorreste sostituirla con qualcosa di comprato? Non lo farei, tenterei l'avventura, ma, se proprio si deve, prenderei degli gnocchi, avrebbero quella pastosità di questi Strascinati di Misckiglia.
La Farina di Misckiglia si potrebbe acquistare già pronta per corrispondenza o recandosi nella piccolissima zona della Lucania, ai piedi del Pollino, dove viene regolarmente prodotta, ne parliamo diffusamente qui e qui. Noi abbiamo preso l'abitudine di farcela da soli miscelando in questo caso per ottenere 350 gr circa, un etto di Semola rimacinata di Grano Duro Senatore Cappelli, settanta grammi di Farina 0, e mezz'etto di farine di Avena, di Orzo, di Ceci e di Fave, senza fare, come si suol dire, i farmacisti, sono prodotti nati da e per il popolo, nelle case non c'era la bilancia e s'andava a cucchiai, bicchieri, manate, ecc . . .
La prima cosa da fare è impastare questa farina, il metodo è quello classico della fontanella, l'aggiunta graduale d'acqua, l'impasto, inizialmente in punta di dita e poi a piene mani, avvertirete subito che la presenza dei legumi non faciliterà il compito, ma alla fine si otterrà un impasto abbastanza simile all'abituale. Se proprio non ve la sentite, non avete tempo, ecc . . . il piatto riuscirà altrettanto bene se utilizzerete solo Semola Rimacinata, perderete soltanto il gusto e la ricchezza alimentare particolari di questa farina. L'impasto, come al solito va messo a riposare.
Ricaviamo la mollica da due delle fette di Pane di Matera, il resto lo mettiamo a spugnare in acqua, la mollica la riduciamo in grossolane briciole a mano. Untiamo una padella con Olio EVO, la riscaldiamo e vi asciughiamo la mollica condendola con aglio e peperoncino, abbrustolito su fiamma, trituratissimi, quando il pane è ben asciutto, appena colorato, lo lasciamo raffreddare, togliendolo dalla padella, brucerebbe, e lo condiamo con Peperone Cruscko (cruscko significa che è fritto velocemente in olio non caldissimo) di Senise frantumato e Pomodori Cietticàle di Tolve tagliati molto sottilmente, questi sono più difficili da trovare, cercateli, ne vale veramente la pena, altrimenti usate pomodori secchi, non è la stessa cosa ma facciamo di necessità virtù, amalgamiamo tutto e lasciamo a riposare, di questo ne prepariamo in abbondanza, può servire a tante cose, oltre ad essere il formaggio dei poveri, immaginate ad impanare fritti ed arrosti . . .
Passiamo ora a preparare le Melanzane Rosse di Rotonda, laviamole, dadoliamole, saliamole e
facciamone scolare l'acqua di vegetazione con una parte del loro amaro, non molto però, in questa ricetta è bene che ne resti, le seppie sono tendenzialmente dolci, noterete in tutto questo che tra i tanti pregi di queste strane e bellissime melanzane c'è anche quello di non annerire. Se proprio non trovate queste melanzane usate delle melanzane normali ma non fatele scolare, conserveranno quel poco d'amaro.
Nel frattempo puliamo le seppie, volendo l'arrizziamo, ma per questa preparazione non è del tutto necessario, nel piatto originale l'abbiamo fatto, dovendolo fare per le piccole ed il polpo da mangiare crudi ed allora essendo in ballo abbiamo ballato. Le sezioniamo, lasciando integro solo il corpo e la corona dei tentacoli corti, togliamo anche le ali.
Mettiamo a scaldare dolcemente una decina di cucchiai d'olio in una padella con due spicchi d'aglio schiacciati, un peperoncino e del prezzemolo sano, anche gli steli, appena l'aglio inizia a colorarsi vi soffriggiamo la seppia tranne il corpo, appena qualche minuto e l'alziamo scolandone bene l'olio in cui soffriggiamo il trito di melanzana con l'aggiunta di una dadolata di pomodori finché torna a condimento, solleviamo, scolando anche questa volta per bene. Tritiamo il soffritto di seppia, tranne la corona di tentacoli se intendiamo usarla per guarnire, mischiamo con il trito soffritto di melanzane, da cui abbiamo eliminato aglio prezzemolo e peperoncino, aggiungiamo il pane ammollato e strizzato, due uova, pecorino grattugiato, prezzemolo tritatissimo, aggiustiamo di sale, correggiamo la consistenza con della mollica di pane asciugata, messa da parte senza peperone e pomodoro. La consistenza dovrà essere di una polpetta un pochino molle, lasciamo a riposare una mezz'oretta.
 

Ci dedichiamo ora a ricavare gli strascinati dalla pasta ben riposata, non sapete come si fa, guardate qui.
Nel frattempo riempiamo le seppie con il ripieno riposato, se ne avanza, facciamoci delle polpette aggiungendo solo un pochino di pangrattato per renderle più sode. Diamo consistenza alla seppia con due spiedini, non la riempiamo troppo perché in cottura si restringerà al contrario del ripieno che tende ad aumentare di volume. Mettiamo in un tegame a pareti più alte l'olio già utilizzato prima e ben insaporito, lo scaldiamo e vi lasciamo a soffriggere per qualche minuto le seppie ripiene, con le eventuali polpette ed i tentacoli, aggiungiamo la salsa di pomodoro, dopo un po' solleviamo tutto e lasciamo che che la salsa si cucini a fiamma bassissima, fino ad addensarsi come un normale ragù.
Ora è tutto pronto non ci resta che bollire la pasta in abbondante acqua salata, ripassarla in un po' di salsa, fare uno specchio della stessa e sistemarvi sopra pasta ed una o due fettone di seppia. Una spolverata di mollica di Pane di Matera asciugata e condita, una spolverata di prezzemolo tritatissimo ed un filo d'olio crudo a completare l'opera.
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