La dieta si fa contenendo le quantità non la qualità

13 marzo 2012

Faf Arrmnat o Faf Scarfat o Fave Ripassate


Questo piatto oggi si chiamerebbe “di recupero”. Recupero delle giornaliere Fave e Foglie o ‘Ncapriata (cliccare sui nomi per ricette) di ogni giorno. Questo era il modo che si usava per riscaldare (Scarfà) ciò che era avanzato, o, per meglio dire, che si era dovuto far avanzare, malgrado la fame che si leggeva negli occhi dei commensali. In occasione di quella ricetta avevamo parlato dei motivi che hanno portato le Puglie e zone limitrofe al consumo giornaliero di quel piatto o delle fave in genere, ora vi illustriamo un altro modo per prepararle, in poche parole, il prodotto è sempre lo stesso cerchiamo almeno di camuffarlo in maniere diverse.


Si mettono le fave avanzate in padella insieme alle verdure, anch’esse avanzate e gli si da' una rigirata, “arriminata” appunto. Con questa, oggi leccornia, al mattino la donna di casa imbottiva una pagnotta, di quelle pugliesi, dalla quale aveva sapientemente tolta la sommità, che diventava coperchio di quella scodella commestibile, e, per farla scodella, scavava la mollica, che naturalmente non andava buttata, con il latte, generalmente annacquato con un caffè di quasi caffè o, molto più probabilmente, di orzo lungo . . . , ma luungoo . . . , al mattino diventava zuppa, impercettibilmente zuccherata, ma caldissima, per la colazione dei figli.

Quel pane con le fave e foglie arriminate era la colazione del bracciante agricolo, ma anche del contadino, del muratore, del popolo più umile insomma. In questo modo infatti l'olio o, più spesso, lo strutto inzuppava il pane e il tutto si manteneva a lungo caldo, anche perché nell'arriminarle si aggiungeva altro olio o strutto, aglio e peperoncino. Era così anche un eccellente preventivo contro le infezioni, specialmente contro la malaria.

Vittorio, il padre di Mimmo, gli raccontava che il saluto tra i contadini, che si incontravano prima dell'alba, recandosi al lavoro era "te pigghiat' l'agghie?" (hai preso l'aglio?) Quasi che fosse "hai preso la comunione?". E poi si dice che i "cafoni" puzzavano. L'unico alimento delle classi più povere delle nostre terre erano le fave, preparate in vari modi, mettevano sete e bevendo, spesso sola acqua, ci si riempiva la pancia e si ingannava la fame, anche perché le fave gonfiano un po' ed allora la pancia si riempiva degli elementi più economici che la natura ci metteva a disposizione: Fave, Verdure di campo, Acqua e Aria. "La cchiù brutta notti iè quannu ti cuerchi allu dasciunu" "la più brutta notte è quando ti corichi a digiuno" recita un vecchio detto salentino.


Di fronte a questi piatti togliamoci il cappello! Cappello che i cafoni non si toglievano neanche a tavola, faceva troppo freddo e non si poteva sprecare tanta legna per riscaldarsi; se lo toglievano soltanto in chiesa e davanti ai "signori", quando questi avevano la benevolenza di rivolgergli la parola e allora: "vo' signrie"(vostra signoria) e giù il cappello.


Evidentemente questo piatto si può preparare seguendo la ricetta della ‘Ncapriata o Fave e Foglie e mettendo le fave, ormai cotte e montate, in padella insieme alla verdura già soffritta e amalgamando il tutto insieme, tocco finale può essere: imbottire delle pagnotte o dei tranci di Filoni (l Cugn come si dice da noi), o Pupe, che, come detto prima, scavate opportunamente, saranno diventate delle scodelle atte a contenere Fave, Verdure, Aglio e Peperoncino, grondanti olio, il tutto bollentissimo.


Con questa ricetta partecipo al Contest "Le Ricette della Carestia" nella sezione "Ricetta Antica"

Questa ricetta è entrata a far parte dell'Abecedario Culinario d'Italia una selezione di ricette regionali dove la chiave d'accesso è una delle lettere dell'alfabeto, per le Puglie la chiave è la O di Otranto ed è ospitata dal blog di Patrizia La Melagranata

12 marzo 2012

Faf Spzzutat Scarfate cu l Ckuer - Fave Spuntate con Cicorie

Se, come è buona norma, si è preparato in notevole abbondanza le Fav Spzzutat e Cicorie (o Ccuer) (cliccare su nomi la ricetta) nei giorni successivi ci si potrà preparare anche quest'altra ricetta, che comunque può anche vivere da sola passando dalla preparazione dell'altra.
Si deve solo preparare un abbondante soffritto di Olio Extra Vergine, Cipolla dorata o rossa, tagliata grossolanamente, e Peperoncino ed in esso ripassare la verdura e le fave preparate come già detto. La preparazione si era soliti renderla piuttosto brodosa con aggiunta dell'acqua di cottura della verdura per accompagnarla con del pane raffermo semplicemente sminuzzato o precedentemente fritto nel soffritto delle cipolle ed alzato prima dell'aggiunta delle fave e verdure per poi rimettere tutto insieme per una ultima rimestata, prima di impiattare.
In questa versione si chiamano: Le Fave Ceca Marito nel senso che si mettevano davanti al marito e gli si diceva: Tiè e Cecht.

8 marzo 2012

Pane Cotto, u Pan Cuett, con Senàpe

Il Pane Cotto o Pancotto, nel senso di pane come ingrediente di un piatto in cui viene ricotto. Infinite versioni, usi e nomi in tutto il Sud Italia e non solo. Era il primo prodotto, in un certo senso masticabile, che veniva dato ai bambini per iniziare lo svezzamento: Pane, la crosta meglio cotta, Acqua e Formaggio Vacchino grattugiato, cotti lungamente insieme fino a spappolarsi e poi conditi con un filo d'Olio di quello specialissimo, la Lacrima, cioè l'olio che gocciolava per primo, senza neanche la spremitura. Il Pancotto accompagnava il bambino in tutta la sua crescita, di giorno in giorno ci si aggiungeva un nuovo gusto, un nuovo ingrediente, sempre in minime dosi perché si abituasse a tutto e venisse in contatto con tutto o quasi. Un giorno un cucchiaino di tuorlo d'uovo, un altro una grattatina di Aglio, contro infezioni e vermi, poi la Cipolla, il Prezzemolo e, se si poteva, l'acqua veniva sostituiva con un brodino leggero leggero di colombino, di petto di pollo, per giungere poi all'apoteosi, nelle zone di mare, della sogliola e del merluzzo con tutto il fegato. Più probabili erano però le grandi varietà di verdure e legumi, prima i soli brodi liquidi liquidi e poi, pian piano si arrivava ai legumi schiacciati e senza bucce.
Spesso nelle sere d'inverno u Pan Cuett serviva a riempire la pancia di bambini e vecchi, i primi per nutrirli bene, i secondi perché, senza denti, dovevano pur avere una alternativa alla Zupp cu Vin.
Il Pancotto attizzava la fantasia delle massaie, le più svariate verdure, coltivate e campestri, i rimasugli di legumi, formaggi, salumi, qualche uovo, . . ., tutto tornava utile per condire il pane vecchio e qualche volta ammuffito, si ricorreva proprio per questo a varie aggiunte profumate come i finocchietti selvatici e le senàpe, entrambe altamente diuretiche e spesso colpevoli di letti bagnati anche da bambini cresciutelli.
Oggi, che il pane non avanza, quello del giorno prima lo si butta, e che, stranamente conservato, se ammuffisse lo si butterebbe, lo tostiamo per dargli una certa consistenza e le verdure, troppo giovani e tenere, quasi non abbiamo bisogno di sbollentarle, in compenso i rimasugli sono tanti ma proprio tanti, il Pancotto può essere un'ottima alternativa alla focaccia o gattò svuota-frigo. Del pane noi, di una certa età, abbiamo un altro concetto, c'hanno insegnato che il pane non si butta solo se dovesse cadere a terra e comunque dopo averlo baciato. Io sono rimasto così.
Questa ricetta l'abbiamo in un certo senso nobilitata usando una verdura di antica tradizione e di difficile reperibilità ormai, la Senàpe (clicca per spiegazioni). Per il pane abbiamo usato quello integrale (clicca per ricetta) fatto in casa, che, non essendo raffermo abbastanza, abbiamo abbrustolito sulla piastra.


Ingredienti per due persone di buon appetito:
tre etti circa di Pane Integrale - tre etti circa di Senàpe - tre uova fresche 
un etto di Canestrato Pecorino Pugliese grattugiato - un Peperoncino 
uno spicchio d'Aglio
sei cucchiai di Olio Extra Vergine di Olio Pugliese - quanto basta di Sale Grosso

Innanzitutto abbiamo pulito la verdura separando le foglioline dalle cimette, avranno una diversa cottura, le abbiamo sbollentate in poca acqua bollente salata. Le foglie fino ad una quasi cottura mentre le cime sono state alzate appena si sono del tutto bagnate.


La verdura, alzata con la forchetta, senza scolarla eccessivamente perché non si ammassasse, è stata posta in un tegame di terracotta, quello che in pugliese si chiamerebbe Tist o Tiell. Qui a fiamma accesa è stata condita con tre cucchiai d'olio, l'aglio affettato e il peperoncino spezzato. Senza coperchio, abbiamo aspettato che iniziasse a sfrigolare con forza, rimestandola per insaporirla, quando è risultata ben asciutta abbiamo aggiunto quattro mestoli dell'acqua di cottura, chi può aggiungerebbe brodo di carne, che sicuramente andrebbe anche meglio. Aspettando che ritorni una lenta e dolcissima ebollizione a fiamma bassissima, abbiamo tagliato il pane, un filone, a mò di panino e l'abbiamo tostato sulla piastra, non essendo del tutto ben raffermo, ed abbiamo sbattuto le uova con il formaggio grattugiato.
Quando tutto è stato pronto e la minestra ormai in ebollizione, abbiamo aggiustato di sale, sistemato il pane nel fondo del tegame, ricoperto con la verdura e cosparso con la salsa di uova.


A questo punto il piatto è quasi pronto, non resta che aspettare che torni la dolce e lenta ebollizione a fiamma bassissima. Occorre controllare che il pane sia ben bagnato, se occorre è bene aggiungere dell'altro liquido e quindi spegnere ed aspettare ancora un quarto d'ora o più perché l'uovo sia ben  rappreso ed il pane abbia assorbita in buona parte l'acqua di cottura o il brodo, ammorbidendosi senza però spappolarsi. In questa operazione, prezioso sarà l'apporto della terracotta con la sua caratteristica di assorbire il calore e restituirlo con dolce lentezza, che permette l'amalgamarsi dei profumi e dei sapori. Un generoso filo d'olio crudo completa questo piatto, che non sarebbe lo stesso senza il Coccio.

Possibili varianti possono essere l'uso delle Friselle (clicca per informazioni e ricetta) al posto di semplice pane raffermo o tostato, si può anche spaziare con le verdure, che possono essere le varie selvatiche cicorielle e simili o le coltivate scarole, cime di rapa, ecc...; anche altre variazioni possono essere ben gradite: non guasterebbe qualche pomodoro invernale di quelli appesi o secchi e oltre all'aglio si può tranquillamente usare anche la cipolla; molto goloso sarebbe sostituire del tutto o in parte il formaggio pecorino con sottili fette di caciocavalli freschi o di scamorze bianche o affumicate.

Questa ricetta è stata elaborata e scritta per partecipare al Contest del blog Les Madeleines de Proust



5 marzo 2012

U Cutturidd - Agnellone alla Pignata

Mesi ideali per questo piatto: Maggio - Giugno - Novembre - Dicembre

U Cutturidd esprime quanto di più antico e pastorale c'è nella tradizione dell'Alta Murgia dove la Puglia si confonde con la Basilicata. E' questo un piatto che si "contendono" tra materani e pugliesi confinanti, facendone ognuno una versione leggermente diversa.
Nasce avendo come ingrediente principale la Pecora, spesso vecchia ed ormai improduttiva, che i pastori si "permettevano" di macellare e cuocere in fornaci di fortuna, condendola con gli ingredienti più a portata di mano. C'erano dentro le verdure, i funghi, i tuberi e le cipollette di campo e di stagione, che erano soliti raccogliere, accompagnando le greggi per integrare e variare i poveri e monotoni pasti o per farne baratto ed ottenere in cambio qualche uovo, qualche salame o semplicemente del pane e soprattutto del vino. Aggiungevano qualche scorza e qualche pezzetto di formaggio, qualche cotica di pancetta, qualche fondo di salame ormai indurito. Ne veniva fuori un sapiente stracotto brodoso e ricchissimo di verdure, ogni volta di gusto diverso, non sempre equilibrato ma sicuramente molto ben gradito, condendolo con la tanta fame.

Oggi ne facciamo una versione più adatta ai gusti, alle esigenze ed agli stomaci moderni, utilizzando l'agnellone anche per la difficoltà di trovare la pecora. Anche un tempo non era facile disporne, si aspettava che qualcuna si azzoppasse in maniera molto grave, cadendo in qualche dirupo, che morisse di parto ed altri incidenti simili, non ultimo, qualche seria azzannata dei lupi, non rari in certe zone della Lucania. Il consumo di carne un tempo era talmente raro che, raccontava mio padre, si salutava speranzosi la discesa dei lupi dal Pollino. Sicuramente avrebbero attaccato qualche gregge ed allora ci sarebbe stata abbondanza di carne a bassissimo prezzo. Questi generosissimi animali hanno infatti la graditissima e bellissima abitudine, per alcuni interessati, di non uccidere solo i capi necessari a sfamarli ma anche altri per semplicemente lapparne il sangue, lasciandone poi le carcasse in dono ad altre creature della montagna, non ultimi gli affamati abitanti dei paesi vicini.
I pastori non potevano certo scelleratamente abusarne, dovevano custodire con amorevole ed interessata   cura le bestie a loro affidate dal padrone del gregge; tutti i pastori un tempo erano lavoratori precari e  stagionali, il proprietario del gregge non sarebbe stato certo contento di vedere tornare il gregge ridotto nel numero dei capi consegnati ad inizio stagione, c'era il rischio che, a suo insindacabile giudizio i capi persi per supposta incuria, venissero decurtati  dal già miserrimo salario spesso pagato in natura, consistente generalmente in qualche forma di formaggio e qualche capo di vestiario, solitamente scarpe generalmente dismesse e fuori misura.

Ingradienti per quattro o sei persone:
un chilo e mezzo di Agnellone - due o tre Carote - due o tre Coste di Sedano - 
un mazzetto di Prezzemolo - una grossa Cipolla - uno o due Spicchi d'Aglio - 
due o tre grosse Patate - mezzo chilo di Cicorielle selvatiche - 
una decina di Pomodorini Insertati o Pomodori secchi - una decina di Funghi Cardoncelli - 
due o tre piantine di Finocchietto Selvatico - qualche Cardoncello -
una decina o quindicina di Lampascioni - rimasugli di Formaggi e Salumi - 
Sale Grosso, Pepe Nero pestato e Olio Extra Vergine di Oliva
tre o quattro etti di una qualsiasi farina e dell'acqua per impastarla

Altri ingredienti pressoché indispensabili: una Pignata o Pentola di terracotta ed il Camino o meglio Focolare, pazienza, tempo e ottimo appetito per cose "buone di una volta"

Noi spezziamo l'Agnellone in parti non troppo piccole, che ognuna sia una mezza porzione. Mondiamo con cura tutte le verdure e le tagliamo a pezzi piuttosto grossi ma volutamente irregolari per dare alla cottura un che di casuale, lasciamo sani i Lampascioni, tenuti per una giornata in acqua, cambiata due o tre volte.
Con acqua e farina prepariamo una massa che lasciamo a riposare.
Sistemiamo tutto in varie ciotole raggruppando in una le carote, le patate, la cipolla, l'aglio, il finocchiello ed il prezzemolo, in un'altra ciotola mettiamo le cicorielle selvatiche e cardoncelli, segue la ciotola contenente l'agnellone, un'altra conterrà i lampascioni ed i pomodori, in un'altra ancora i rimasugli di salumi e formaggi, nei salumi non dovrebbe mancare qualche fetta di pancetta affumicata con tutta la cotica e la salsiccia di scarti ed interiora, che veniva fatta apposta per le minestre, mentre i formaggi sono costituiti prevalentemente di scorze di pecorino ben grattate della superficie esterna, comunque anche altri rimasugli vanno bene.
Passiamo allora a condire tutte le ciotole con sale, pepe ed un filo d'olio, rimestando perché ogni cosa sia ben condita, dobbiamo saltare in questa operazione solo i salumi ed i formaggi.
Iniziamo a preparare la pignatta, mettendo sul fondo metà circa del contenuto della prima ciotola, sistemando bene in particolare patate e carote, segue la metà circa della seconda, è ora la volta della carne, che distribuiremo con accortezza cospargendola poi con qualche pomodoro tagliato e lampascione a cui si è praticato un taglio a croce sul fondo, sarà quindi la volta della metà circa dei salumi e dei formaggi; con quest'ultimi il giro è completato non ci resta che ripetere e completare del tutto, pressando perché tutto sia ben sistemato, in ultimo aggiungiamo uno o due bicchieri d'acqua.
Facciamo dalla massa un lungo serpentone che andremo a sistemare sull'orlo dell'imboccatura della pignatta in modo che il coperchio, pressato a forza, sigilli completamente il contenuto facendo una sorta di pentola a pressione. Disponendone, questa operazione può essere anche fatta con dell'argilla, era questo il metodo più antico e tradizionale, non si sprecava certo a cuor leggero della preziosa farina.
Questa foto è stata scelta per rappresentare la Puglia nell'Abbecedario Culinario  http://abcincucina.blogspot.com.es/   
Intanto abbiamo acceso il focolare e si è prodotta un pochino di brace. Sistemiamo la pignatta in un angolo, ne circondiamo la base di brace e, più che altro, cenere calda, che trasmette calore indirettamente, e sistemiamo la legna ardente in modo che le giunga il calore senza che venga mai lambita direttamente dalla fiamma se non episodicamente, brevemente e casualmente.
Armiamoci a questo punto di gran pazienza ed aspettiamo cinque o sei ore accudendo il fuoco e la brace, che siano sempre attivi;  diamo di tanto in tanto delle vigorose scrollate e mezzi giri alla pignatta.
Trascorso il tempo indispensabile non ci resta che rompere la pasta, che sigilla il coperchio ed attingere generosi mestoli per riempire capienti piatti, che andranno a soddisfare vogliosi commensali, golosi non solo di cibo ma anche di cultura.
Il risultato sarà uno stracotto di carni e verdure, caldo e saporoso.
Per le esigenze caloriche di sedentari cronici, sicuramente questo è da considerare un abbondante piatto unico; eventualmente si possono aumentare le patate e le verdure, tanto di condimento ce n'è comunque in abbondanza. Alcuni commensali potrebbero non gradire la consistenza alquanto inesistente delle verdure pertanto si può ricorrere ad un metodo probabilmente più moderno, che non prevede il caricamento della pignatta a strati, una maggiore presenza d'acqua e, quel che più conta, l'aggiunta del tutto o in parte di patate, funghi e cicorielle dopo che U Cutturidd ha cotto per la metà circa del tempo, questo servirà anche a renderci conto del punto di cottura della carne e del tempo ancora occorrente, tanto per le verdure anche due orette potrebbero essere sufficienti, vorrà dire che saranno meno sfatte. In questo caso si può sostituire alla tradizionale argilla o pasta di pane una prosaica copertura con stagnola, fermata eventualmente con un filo di ferro.

Con questa ricetta partecipiamo, per noi è la prima volta, al contest dedicato ai cocci del caro amico Max "Un Coccio al Mese per 12 Mesi" per il mese di marzo


Questa ricetta è entrata a far parte dell'Abbecedario Culinario d'Italia una selezione di ricette regionali dove la chiave d'accesso è una delle lettere dell'alfabeto, per le Puglie la chiave è la O di Otranto ed è ospitata dal blog di Patrizia La Melagranata
Nell'Abbecedario Culinario la Puglia è rappresentata dalla nostra foto di questo post

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