Questo piatto oggi si chiamerebbe “di recupero”. Recupero delle giornaliere Fave e Foglie o ‘Ncapriata (cliccare sui nomi per ricette) di ogni giorno. Questo era il modo che si usava per riscaldare (Scarfà) ciò che era avanzato, o, per meglio dire, che si era dovuto far avanzare, malgrado la fame che si leggeva negli occhi dei commensali. In occasione di quella ricetta avevamo parlato dei motivi che hanno portato le Puglie e zone limitrofe al consumo giornaliero di quel piatto o delle fave in genere, ora vi illustriamo un altro modo per prepararle, in poche parole, il prodotto è sempre lo stesso cerchiamo almeno di camuffarlo in maniere diverse.
Si mettono le fave avanzate in padella insieme alle verdure, anch’esse avanzate e gli si da' una rigirata, “arriminata” appunto. Con questa, oggi leccornia, al mattino la donna di casa imbottiva una pagnotta, di quelle pugliesi, dalla quale aveva sapientemente tolta la sommità, che diventava coperchio di quella scodella commestibile, e, per farla scodella, scavava la mollica, che naturalmente non andava buttata, con il latte, generalmente annacquato con un caffè di quasi caffè o, molto più probabilmente, di orzo lungo . . . , ma luungoo . . . , al mattino diventava zuppa, impercettibilmente zuccherata, ma caldissima, per la colazione dei figli.
Quel pane con le fave e foglie arriminate era la colazione del bracciante agricolo, ma anche del contadino, del muratore, del popolo più umile insomma. In questo modo infatti l'olio o, più spesso, lo strutto inzuppava il pane e il tutto si manteneva a lungo caldo, anche perché nell'arriminarle si aggiungeva altro olio o strutto, aglio e peperoncino. Era così anche un eccellente preventivo contro le infezioni, specialmente contro la malaria.
Vittorio, il padre di Mimmo, gli raccontava che il saluto tra i contadini, che si incontravano prima dell'alba, recandosi al lavoro era "te pigghiat' l'agghie?" (hai preso l'aglio?) Quasi che fosse "hai preso la comunione?". E poi si dice che i "cafoni" puzzavano. L'unico alimento delle classi più povere delle nostre terre erano le fave, preparate in vari modi, mettevano sete e bevendo, spesso sola acqua, ci si riempiva la pancia e si ingannava la fame, anche perché le fave gonfiano un po' ed allora la pancia si riempiva degli elementi più economici che la natura ci metteva a disposizione: Fave, Verdure di campo, Acqua e Aria. "La cchiù brutta notti iè quannu ti cuerchi allu dasciunu" "la più brutta notte è quando ti corichi a digiuno" recita un vecchio detto salentino.
Di fronte a questi piatti togliamoci il cappello! Cappello che i cafoni non si toglievano neanche a tavola, faceva troppo freddo e non si poteva sprecare tanta legna per riscaldarsi; se lo toglievano soltanto in chiesa e davanti ai "signori", quando questi avevano la benevolenza di rivolgergli la parola e allora: "vo' signrie"(vostra signoria) e giù il cappello.
Evidentemente questo piatto si può preparare seguendo la ricetta della ‘Ncapriata o Fave e Foglie e mettendo le fave, ormai cotte e montate, in padella insieme alla verdura già soffritta e amalgamando il tutto insieme, tocco finale può essere: imbottire delle pagnotte o dei tranci di Filoni (l Cugn come si dice da noi), o Pupe, che, come detto prima, scavate opportunamente, saranno diventate delle scodelle atte a contenere Fave, Verdure, Aglio e Peperoncino, grondanti olio, il tutto bollentissimo.
Con questa ricetta partecipo al Contest "Le Ricette della Carestia" nella sezione "Ricetta Antica"
Questa ricetta è entrata a far parte dell'Abecedario Culinario d'Italia una selezione di ricette regionali dove la chiave d'accesso è una delle lettere dell'alfabeto, per le Puglie la chiave è la O di Otranto ed è ospitata dal blog di Patrizia La Melagranata
DELIZIAAAAAAAAAAAAAAAAAA, INCANTOOOOOOOOOOOOOOO, MERAVIGLIAAAAAAAAAA! UN SALUTO AFFETTUOSO
RispondiEliminaM.G.
Graaaazieeeee!
RispondiEliminaBeh, io lo faccio spesso questo... non col "cugno" però, ma diciamo una versione più "raffinata" e meno "cafona"! :DDDDD
RispondiEliminaDopo aver "arriminato" le fave e fogghie, unisco tocchetti di pane raffermo, fritti in olio extra vergine... Mescolo bene e servo caldissimo accompagnando con cipolla rossa di Acquaviva cruda! ;))
questa la copio per la cena di domani sera, voglio sorprendere gli ospiti con effetti speciali e con queste fave ci riuscirò, garantito al limone. Se mi ricordo faccio anche una foto
RispondiEliminaOcchio Dede parliamo di Fave secche
RispondiEliminaOrnella credo che la tua sia una versione più salentina.
RispondiEliminaEffettivamente questa è la versione "cafona", che, come dico è addirittura fatta con la pagnotta scavata.
Il mio essere tarantino bastardo non mi fa arrivare alle tue raffinatezze, cosa è il "Cugno", la parte iniziale del pane, mia moglie che è un po' più tarantina di me lo chiama "cucuruzzolo" ed in lucano l'ho sempre chiamato "cruscch".
aggiornamento: le fave secche le ho lasciate da parte per il prossimo autunno, sabato a cena ho cucinato fave fresche con basilico ed è stato un vero trionfo. Alla prossima!
RispondiEliminaEffettivamente se fosse stata una giornata ormai calda le Fav' Arrmnat potevano non essere il massimo, anche se è un panino che va mangiato non eccessivamente caldo ma comunque molto piccante. Parli di fave secche con estrema confidenza, ne hai esperienza e frequentazione?
RispondiEliminaCome sono le Fave fresche al Basilico?
effettivamente con le fave secche sono in confidenza da un pezzo, il macco di fave è uno dei mie cavalli di battaglia per le cene vegetariane: lo preparo come fosse una fondue bourguignonne, bollente al centro della tavola e contornato di tante verdure cotte al vapore da intingere. Come accompagnamento servo anche delle quenelles di ricotta e pesto (senza cottura, senza uova, senza nulla altro, e gamberoni lessi. Poi olio e pepe, e la cena è pronta con poca fatica e molto successo.
RispondiEliminaLe fave al basilico non sono altro che fave (fresche o surgelate) stufate lentamente con poca cipolla, e subito prima di spegnere il gas una generosa manciata di basilico fresco spezzettato con le mani, olio crudo e via.Prova!
Dede, devo dire una versione molto interessante. Lo chiami Macco, l'hai appresa in Sicilia?
RispondiEliminaBello questo interscambio, Mimmo! Sì è verissimo, penso proprio che sia una versione salentina... L'origine di questa preparazione è mia suocera leccese! Il cugno...u cugn, non è solo il cucuruzzolo, che sarebbe la parte più croccante iniziale o finale del filone di pane, come dici, ma un mezzo filone, svuotato dalla mollica e riempito ad esempio di rape stufate.
RispondiEliminaCiao!!!
E' quello che a me piace, interloquire, scambiarsi esperienze, pareri e, perché no? critiche e suggerimenti.
RispondiEliminaU Cugn cu l Rap stufat (cu vin e a sazizza squant!) e c'è poesie!
Traduzione per gli alt(r)i italiani: Il mezzo filone svuotato dalla mollica e ripieno di Cime di Rape stufate con Vino e Salsiccia piccante (oltre a Aglio, Alloro ed ovviamente Olio EVO) e che poesia!
Che meraviglia, grazie per questa bellissima ricetta!
RispondiEliminaMimmo, i tuoi post sono sempre estremamente interessanti! Grazie! E grazie di aver offerto questo piatto buonissimo all'Abbecedario Culinario!!
RispondiElimina(Ti chiedo anche qui di mettere i link richiesti e il banner dell'iniziativa! Grazie!!)
domanda per Ornella: la tua versione (che ho mangiato in Salento qualche anno fa!) veniva chiamata alla Cecamariti...è possibile?
Una bontà divina :D
Certo, come tu dici, vari piatti, derivanti dalla sagacia e furbizia della donna salentina si chiamano così "a cecamarit". Son sicuro che i mariti in oggetto si lasciavano e perché no si lasciano accecare ben volentieri, possibilmente ad un solo occhio, premiando con il gradimento e stuzzicando le mogli a trovare nuovi modi di ripresentare la "solita minestra" che non fosse semplicemente "riscaldata". Non è forse il segreto della buona riuscita di un matrimonio?
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