La dieta si fa contenendo le quantità non la qualità

8 agosto 2013

Risotto con RisoPatateeCozze - Riso Patate e Cozze Sacrilega

Mesi ideali per questo piatto: Giugno - Luglio - Agosto - Settembre

Da tempo mi frullava per la mente qualcosa di simile ma figurandomelo vedevo qualcosa che non riusciva a convincermi, in fondo un vero e proprio Risotto con le Cozze, con tostatura del riso e  tutto il resto l'ho già realizzato, se interessasse la ricetta la trovate cliccando qui, volevo fare qualcosa usando precisamente gli ingredienti della vera Tiella di Riso Patate e Cozze, altra ricetta che potete trovare in questo blog cliccando qui.
Perché? Per dare una risposta ai tanti, tantissimi che pretendono di fare questo piatto, credendo che si tratti di una specie di risotto o di una cosa simile alla Paella, pretesa anche più strana.
"Sai voi, come noi, avete avuto la dominazione spagnola . . .  il riso non sapevate neanche che esistesse . . . gli spagnoli l'hanno conosciuto durante la dominazione del nord Italia, ecc . . . ". Ci vogliono insegnare che il nostro piatto deriva, e per forza, dal più noto e blasonato, sempre secondo loro, piatto spagnolo.


Facciamo modestamente presente, per l'ennesima volta, a costoro, anche e troppo spesso sud italiani, che la nostra era una terra con una sua dignitosa civiltà fin da quando cominciò nel secondo millennio a.C. la "visita" dei tanti; figuriamoci con il sovrapporsi di tutte le civiltà mediterranee e non solo cosa poté trovare l'ognuno che venne dopo.
I Greci trovarono gli Japigi, gli spartani fondarono Taranto da villaggi preesistenti, crebbe tanto, diventando la capitale della Magna Grecia, nonché centro di diffusione del nuovo. Vennero poi i romani, che tennero molto in considerazione questi territori, dando grande sviluppo a Brindisi e più ancora alla scomparsa Egnatia, porte dell'oriente, e Lecce, al centro di terreni fertili e rigogliosi, che davano vini, olive e il loro preziosissimo olio. Trascurarono in vero Taranto, forse non le perdonarono mai d'essersi opposta tanto vigorosamente e ripetutamente, certo non trascurarono le sue preziosissime lane, tinte con grande maestria fra l'altro con la prestigiosa porpora, prodotta in loco, né il vasellame tornito, plasmato e dipinto alla maniera ellenica ma con molte innovazioni, che poi influirono anche sui maestri greci, tennero anche in giusta considerazione i gioielli, di cui ornarono ben volentieri le loro matrone e concubine, rimasero strabiliati ed affascinati dai tessuti in bisso, che brillava come l'oro e valeva anche di più. La "molle ed imbelle Tarentum", come ebbe a definirla Virgilio, apparve come una "Capitale del Lusso" del secondo secolo a.C., "molle" perché dispenzatrice della cultura dell'Otium, pratica in cui furono egregiamente imitati poi dai romani, ed "imbelle" per aver rinunciato all'esercizio della guerra in prima persona, lasciandola ai mercenari. Pensate quale civiltà superiore e disponibilità economica. Seguirono poi i Longobardi, i Bizantini e in contemporanea sporadicamente Saraceni ed Ebrei; bizantini e saraceni furono soppiantati dai Normanni, che costituirono la Contea di Lecce ed il Principato di Taranto, parti del Regno di Sicilia e poi di Napoli. Un principe di Taranto fu a capo dell'unica Crociata, la prima, veramente vittoriosa. L'appartenenza ai Normanni toccò l'apice con il glorioso periodo del Puer Apuliae, fu definito così per l'attaccamento a questa nostra terra Federico II di Svevia, i suoi discendenti non furono da meno. Quello fu il periodo in cui, pacificamente, passarono da noi tutti e si fermarono in tanti, la corte normanna era quanto mai cosmopolita e aconfessionale, diede spazio e risalto contemporaneamente a saraceni, ebrei, greci, ecc . . . . Seguirono Angioini, Aragonesi, infiltrazioni cruente e non da parte di Turchi ed Ebrei per le loro alterne venture. Quasi ultimi giunsero gli spagnoli e conseguentemente i Borboni. La ricchezza culturale e non solo di questo splendido periodo, pur nella lontananza dai centri di potere, è testimoniata dal fiorire dello splendido e peculiare Barocco Pugliese, che soppiantò l'ormai plurisecolare romanico. In quel periodo la saggia amministrazione borbonica, centralistica ma non dispotica, seppe calmierare le posizioni di privilegio dei territori, tassando, ad esempio, il grano siciliano e detassando il lontanissimo grano pugliese, dato l'unico possibile trasporto navale, così che i pastifici campani non avessero preferenze se non qualitative ed organolettiche. Per ultima arrivò la conquista da parte dei Piemontesi, sicuramente la più deleteria e dannosa, a dimostrazione seguì l'unico periodo veramente buio ed in discesa della nostra storia nel quale siamo apparsi come una popolazione arretrata e sottosviluppata, cosa che effettivamente siamo diventati ma che non eravamo affatto. Borbonico diventò un termine dispregiativo per definire tutto quello che ci può essere di disordinato, raffazzonato e corrotto in una amministrazione, i piemontesi lo poterono fare a ragion veduta e con piena cognizione, infatti con inglesi, francesi, tedeschi, ecc . . . avevano ben studiato l'Amministrazione Borbonica negli anni precedenti la "conquista" proprio come esempio di moderna efficienza. Detto per inciso, sapete che fine fece il calmiere del grano? Sparì a favore dei commercianti settentrionali, che ai grani italiani preferirono quelli russi, americani e canadesi, più a buon mercato.
Un dato per tutti: da noi prima della così detta Unità non era conosciuta affatto l'emigrazione a differenza di buona parte del Nord Italia da cui si emigrava, e come, per le Americhe e non solo. Dal sud si iniziò ad emigrare solo negli ultimi anni dell'800, proseguendo massicciamente nel 900, mentre regrediva per molti territori settentrionali, verso i quali, addirittura, iniziava l'emigrazione delle nostre forze non solo giovani e bracciantili ma anche colte ed esperte, leggendario ed in odio per i settentrionali il fatto che i vari concorsi statali sono vinti prevalentemente da meridionali, che, data l'offerta nettamente concorrenziale in fatto di sanità, istruzione, abitazioni, ecc . . . finivano per restare.

Ma come ci ha portati lontani questa semplice ricetta, non si trattava solo di mettere in pentola del riso, delle patate e delle cozze?

Certo il Riso, lo conoscemmo sicuramente già in epoca greca, lo coltivammo in Sicilia, Calabria, Sardegna e Puglia, poco ne mangiammo, lo usammo come curativo e cosmetico, i romani usarono la sua farina come talco per imbiancare la carnagione delle matrone, allora l'abbronzatura non era di moda. Quel riso, scomparso nel medioevo, ritornò con gli arabi in quasi tutto il meridione, questa volta per nutrircene alla maniera araba. Fu coltivato principalmente ed abbondantemente in Sicilia, continuando ad esserlo, anche se molto limitatamente, fino ai giorni nostri in Calabria e Sardegna.
Il Nord Italia arrivò tardi alla coltivazione del riso, iniziò nei primi secoli del secondo millennio, ma dovette aspettare gli spagnoli, tributari degli arabi per le raffinate tecniche di coltivazione, che lo impiantarono copiosamente come nel loro paese. Nel Nord Italia il riso trovò tutto quello di cui aveva bisogno, anche, e per di più, importantissime bonifiche e canalizzazioni, ne diventò una delle principali colture, aiutato anche dalla mancata concorrenza per lo "scoraggiamento" esercitato sulle antiche e copiose colture d'origine araba della piana di Catania e non solo, che resistettero solo per pochi anni dopo l'Unità, non parlo del giornale, che alcuni definiscono comunista, ma della "Unificazione dell'Italia".
Quel che voglio dire, l'avrei potuto fare anche con molte meno chiacchiere, è che ogni popolo, venendo a contatto con altri, prende e dà, non è possibile solo riceve ed, in vero, neanche il contrario.
Ecco forse della Cottura a Risotto del Riso siamo tributari dei settentrionali, eppure mi devo informare, non ne so molto in merito, tranne che fu Napoli il luogo dove il riso terminò d'essere cosmetico e lenitivo dei problemi intestinali, assurgendo alla piena dignità di cibo in tempi relativamente moderni.

Abbiamo quindi a disposizione gli ingredienti di una bella Tiella per quattro persone. Non solo un quarto di Riso Carnaroli Riserva, tre o quattro etti di Patate e un chilo e mezzo circa di Cozze nere tarantine ma anche una grossa Zucchina, due etti di Pomodori maturi ma molto sodi, una Cipolla Bianca bella grossa, due spicchi di Aglio, un ciuffetto di Prezzemolo, tre cucchiai di Pecorino Canestrato Pugliese non estremamente stagionato, un bicchiere circa di Olio Extra Vergine di Oliva, un pochino di Sale Fino e parecchio Pepe Nero appena macinato.

Innanzitutto puliamo le Patate e i Pomodori, li dadoliamo minutamente, lasciamo in acqua le prime perché non anneriscano. Tritiamo molto finemente la Cipolla e la mettiamo a soffriggere dolcissimamente in due cucchiai di Olio Evo in una capiente pentola dove faremo un pseudo-brodo vegetale per il risotto, appena accenna a colorarsi, alziamo la fiamma, aggiungiamo le patate ben scolate, le rigiriamo perché si insaporiscano, aggiungiamo due cucchiaiate di pomodoro, rigiriamo ancora, segue l'acqua necessaria ed un pizzichino di sale, pochissimo perché vorremo aggiungere al risotto il più possibile di acqua di cozze, notoriamente ben salata. Portiamo ad ebollizione per poi abbassare la fiamma e lasciar cuocere dolcemente.
Apriamo le Cozze a crudo tranne due o tre a testa per farne una guarnizione, di queste puliamo ben bene i gusci. Le istruzioni per l'apertura a crudo le trovate su questo blog, cliccando qui.
Perdendo molto del gusto delicato di questa preparazione potete aprire le Cozze sul fuoco, trovate le istruzioni relative nella nostra ricetta di Impepata di Cozze, cliccando sul nome la troverete.
Quando mancano tre quarti d'ora circa alla messa in tavola iniziamo il risotto vero e proprio.
In un tegame ampio dal fondo molto spesso poniamo a soffriggere in estrema dolcezza la restante cipolla tritata con l'aggiunta di due o tre cucchiai di olio evo e di uno spicchio tritatissimo d'aglio. Abbiamo messo quattro o cinque cozze aperte, scegliendole tra le più grosse, a colare il meglio possibile, a fiamma alta le aggiungeremo al soffritto quando questo si sarà ben colorato, con esse cinque o sei steli di prezzemolo con solo qualche foglia. Teniamo pronto un coperchio per il rischio di schioppettii eccessivi, che potrebbero esserci per le cozze non perfettamente scolate. Soffritte un pochino le cozze, togliamo in parte il soffritto di cipolle e aglio, questo alleggerirà gusto e digestione. Versiamo il riso perché si tosti e quando risulta tale lo irroriamo con una metà circa dell'acqua delle cozze ben filtrata, rimestando la facciamo evaporare, seguono due o tre bei mestoli di brodo delle patate, giunte ormai a cottura, tanto che nel riso si disfarranno molto facilmente. Nel frattempo tagliamo in due la zucchina e quindi a metà, ne togliamo la parte centrale specialmente se molto acquosa, dadoliamo minutamente la parte verde e la teniamo da parte. Ritornato tutto denso, assaggiamo la sapidità, sarà sicuramente dolce di sale, potremo quindi aggiungere piccole quantità di acqua di cozze seguite da mestoli di brodose patate, rimestando spesso e disegnando un otto, per evitare che il risotto s'attacchi al centro, arriveremo ad una mezza cottura del riso, è questo il momento giusto di aggiungere la dadolata di zucchine e la restante di pomodori, gradualmente senza fermare per molto la cottura del risotto. Questa aggiunta, oltre ad avere una funzione di addolcimento, ha anche una finalità cromatica. E' sicuramente bello vedere nella massa di risotto solo leggermente rosato questi quadratini verdi e rossi.
Aggiungendo la minestra brodosa di patate, cominciamo a rimestare a otto con continuità ed aggiungiamo le cozze sgusciate. E' questo il momento di riassaggiare, tra queste cozze e poco più della metà della loro acqua dovremmo essere quasi al punto giusto, tenendo presente che ci sarà il tocco finale delle cozze ancora sane. Sta a voi decidere, potete sempre salare aggiungendo altra acqua.
Le cozze nel guscio le mettiamo in un tegamino con un cucchiaio d'Olio Evo, meno di mezzo spicchio di aglio tritatissimo ed due rami di prezzemolo. Le facciamo aprire a fuoco bassissimo. Preleviamo buona parte del sughetto formatosi e lo emulsioniamo con il restante Olio, il Pecorino grattugiato e Pepe nero macinato.


A cottura giunta al punto giusto, dovremmo aver incorporato quasi del tutto le patate con il loro brodo. Spegniamo il fuoco e mantechiamo con l'emulsione. Non resta che attendere qualche minuto di riposo per impiattare, guarnendo con le Cozze in Guscio, prezzemolo tritato ed altro Pepe Nero al mortaio.

Tante altre ricette con Cozze Nere le troverete cliccando per il loro SPECIALE

5 commenti:

  1. Complimenti per la ricetta e per la premessa. Continuate così

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  2. Grazie, in effetti è da un po' che proviamo a farlo. Certo spesso ci riesce anche peggio. Continua a leggerci

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  3. Con questo piatto mando mio marito in un brodo di giucciole, infatti dormirebbe anche con riso e patate. Complimenti per i commenti e le ricette. Vi seguo sempre

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  4. Grazie, provata la vera Riso Patate e Cozze? la vera? Ispiratrice con uno stupido contest su di essa, contest molto mal riuscito per l'eccesso di stravolgimenti con innesti pseudo pugliesi, che danno ascolto solo agli stereotipi.

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  5. Favolosa questa ricetta, devo assolutamente provarla. Buon pomeriggio Daniela.

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